DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell’articolo di Davide Grittani per corriere.it
Pietro Maiellaro, che direbbe a suo figlio se lo sorprendesse a guidare senza patente?
«Non scherziamo! Lo prenderei a sberle… ».
Cominciamo con le bugie?
Breve pausa, poi ride. E poco dopo confessa. «Meh, quattro o cinque anni ho guidato anch’io senza patente, poi però l’ho presa. A 24 o 25 anni, non ricordo».
(...)
Ci vuole un po’ prima che si sciolga del tutto e accetti il corpo a corpo di un’intervista in suo onore («addirittura», si schernisce), per celebrare i sessant’anni - li compirà domani - di un docile burbero dotato di uno straordinario talento. «Il poeta» lo chiamavano, ma anche «lo zar». Aveva piedi così bene educati al calcio («non al pallone», chiarisce) che i più grandi intenditori ancora non si spiegano perché non sia approdato in una big.
In realtà stava per succedere?
«Mi volevano Juve, Inter, Roma e molti altri club di serie A».
E poi?
«Con la Roma sembrava che dovessimo chiudere da un momento all’altro, poi non successe. Il giorno prima della firma col Bari ero nella sede della Roma, per chiudere coi giallorossi».
E invece nell’estate 1987 fu ceduto al Bari per 2,3 miliardi di lire, e Taranto (dove giocava) insorse. Cortei e manifestazioni di protesta, un po’ come quando Baggio passò dalla Fiorentina alla Juve. Se le ricorda quelle ore, belle e drammatiche?
«Sono stato 5 ore e mezza nella sede del Bari, non volevo firmare. Non ne ero convinto, in realtà volevo andare alla Roma. Poi mi parlò l’allora presidente del Taranto (Vito Fasano, ndr) in lacrime: “Sai Pietro, a noi i soldi della tua cessione servono per salvare il club, sennò non possiamo iscriverci al campionato”. Allora firmai, andando al Bari che poi è rimasto nel mio cuore, sia chiaro.
Qualche giorno dopo sono dovuto tornare a Taranto, a prendere le mie cose dall’armadietto. Mi hanno nascosto nel baule di una macchina per non farmi riconoscere, perché la gente sotto la società era inferocita, protestava per la mia cessione. È stato un momento anche drammatico, come dice lei».
(...) Ma è a Bari che Pietro Maiellaro deve tutta la sua fortuna, di uomo e professionista. Il 24 marzo 1991 da 40 metri segnò un gol (al Bologna) che rimarrà in eterno nella cineteca biancorossa (come quello di Cassano all’Inter) e in quella del calcio italiano. Era un campionato di A, l’ultimo con Diego Armando Maradona.
Com’è stato giocare contro di lui?
«Meraviglioso, chi ha giocato con o contro lui non può che ritenerlo un dono. Ti dava la sensazione che potesse fare qualsiasi cosa da un momento all’altro, giocava con libertà, aveva testa e piedi leggeri. Contro il Bari un mio compagno di squadra che lo stava marcando gli tirò qualche calcione di troppo, così feci finta di rimproverarlo: prima di rivolgermi a lui gli feci l’occhiolino, poi gli dissi di andarci “piano contro Maradona”. Ma Diego mi rispose “Pietro, no te preocupes, lui mena a me e io meno a lui”. Era un generoso, non si risparmiava».
E insieme a Gabriel Batistuta?
«Avevi il sentore che fosse un grande, ma al suo arrivo in Italia lo abbiamo aiutato molto. Io e i miei compagni di squadra lo abbiamo sostenuto nei momenti iniziali, quando gli mancavano i fondamentali e aveva difficoltà a fare le cose semplici. Poi è migliorato, fino a fare quello che ha fatto. Non l’ho sentito durante la malattia, ma mi ha citato nella sua biografia. Mi ha fatto piacere, perché eravamo legati».
(...)
Per esempio, sarebbe andato in nazionale?
«Le ho fatte tutte, le nazionali. Ma non la maggiore. A quell’epoca c’era il ct Azeglio Vicini: molta concorrenza ma anche molti equivoci, falsi campioni. E se dovessi giudicare da quelli che oggi vanno in nazionale, certamente un posto l’avrei meritato anch’io».
L’omosessualità nel calcio di allora?
«C’era, ma non se ne parlava. Era tabù, molto chiacchiere e sospetti. Ma era quasi vietato parlarne».
(...)
Quante donne ha avuto? Le ha contate come Cassano?
«Beh, diverse – si abbandona – ma è tutta acqua passata, mo’ però non mi fate litigare con mia moglie».
(...)
A proposito, se entrasse nella “Hall of fame” della PlayStation che ruolo sceglierebbe? E quale soprannome?
«Il ruolo mio di sempre, trequartista! Il soprannome? Figlio di z… ».
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