Fulvia Caprara per “la Stampa”
pino donaggio
Il rimedio infallibile, nei rari casi in cui si ritrova a corto d' ispirazione, è fare un giro tra le calli della sua città, una puntata al Museo Guggenheim, un' altra a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana: «Qui tutto è arte. Poi torno in studio e la musica che devo scrivere mi viene subito».
Accordi che hanno fatto il giro del mondo, trasformando Pino Donaggio, nato a Burano nel '41, in uno dei compositori italiani più amati dal cinema, sia in Italia che oltreoceano.
Merito, appunto, di quel linguaggio internazionale che gli ha spianato la strada delle collaborazioni più varie, da Liliana Cavani a Dario Argento, da Joe Dante a Brian De Palma per cui ha composto musiche di titoli cone Vestito per uccidere e Omicidio a luci rosse.
pino donaggio brian de palma
Reduce dall' esperienza di presidente della giuria della ventesima edizione del «Trieste Science+Fiction Festival» dedicato alla fantascienza, Donaggio è pronto per i prossimi impegni, tutti rallentati causa pandemia. Dal nuovo film di Paolo Franchi al biopic su Enzo Ferrari con Robert De Niro nei panni del protagonista: «E poi forse tornerò a lavorare con Brian, so che anche lui sta scrivendo un soggetto, abbiamo già fatto otto film insieme, non so se mi richiamerà».
Come ha iniziato a lavorare per il cinema?
«In quegli anni cantavo ancora, ho smesso nel '73. E' successo che una mattina, a Venezia, mi abbia visto sul vaporetto un giovane produttore, Ugo Mariotti, che era lì per le riprese di A Venezia un dicembre rosso shocking, una storia di parapsicologia. Io ero da solo, all' alba, appena tornato dalla Spagna, disse che l' avevo colpito, sembravo un' apparizione, si fece dare il mio numero e mi telefonò. Cercavano delle musiche, io non riuscivo a crederci, mi stavano chiamando per un film in cui recitava Julie Christie».
pino donaggio brian de palma steven spielberg
E con De Palma come è andata?
«E' stato facile, anche se non parlavo inglese, c' era sempre una traduttrice e ci capivamo. La prima volta è successo tutto per caso, Brian avrebbe dovuto lavorare con Bernard Herrmann, il compositore di Hitchcock, che, invece, fu colpito da un infarto. Doveva trovare una soluzione, ne parlò con amici in America, tra questi ce n' era uno che aveva appena comprato in Inghilterra un mio disco. Glielo fece sentire, a Brian piacque, e mi hanno chiamato, ho cominciato così».
Prima, però, c' erano già stati lo studio del violino e i successi da cantante. Mise tutto da parte, come mai?
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«Studiavo al Conservatorio, sono andato a Sanremo e, dopo le insistenze di Mina, ho cantato Sinfonia. Da lì mi è cambiata la vita, avevo detto al mio insegnante di violino che sarei tornato dopo una settimana e invece è passato un mese, la canzone è esplosa, la cantavano tutti per strada. Il professore si è arrabbiato e non mi ha voluto più».
Da dove veniva la sua passione per la musica?
«Ci sono sempre stato in mezzo, mio padre aveva un' orchestrina, con mio nonno e con mio zio. Da piccolo sentivo suonare loro, poi, quando sono cresciuto e si è capito che avevo orecchio, mio padre mi ha chiesto che cosa volessi studiare e io ho detto subito violino. Ho potuto farlo grazie ai suoi sacrifici».
Dopo il successo americano è tornato in Italia, perché?
«Mi mancava Venezia, non riuscivo a rimanere a Los Angeles, tutto quel tempo ad aspettare che ti chiamino, tra un film e l' altro, conoscevo pochissima gente. E poi lì, se vuoi andare a trovare un amico, devi prendere la macchina e ci vogliono minimo due ore».
pino donaggio io che non vivo
Che cosa le piace della musica di oggi?
«Seguo i talent, mi piacciono Amoruso, Mengoni, Emma, anche i Maneskin, e poi i cantautori, soprattutto quelli della mia generazione, Celentano, Baglioni, De Gregori. Dei ragazzi di oggi trovo che si somiglino un po' tutti, anche se capisco che siano bravi. Le canzoni che si scrivono oggi finiscono per essere simili a quelle che si fanno in America, per questo non riescono ad affermarsi fuori, restano qui. I successi della mia epoca, Io che non vivo, Quando quando, Volare rimangono unici e in Usa sono più amati perché hanno la melodia, una cosa che gli americani non sanno fare. E' un po' come per il cinema, agli americani piace il neorealismo, l' Italia la vedono ancora così».
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