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DAGOREPORT – QUANTO DURERA' LA STRATEGIA DEL SILENZIO DI GIORGIA MELONI? SI PRESENTERÀ IN AULA PER…
Da "la Repubblica"
Forse non tutti ricordano che i sondaggi li faceva Gianni Pilo, da non confondersi con Mauro Pili, pure sardo, ma non pelato. La sua società , fondamentale nell'avventura berlusconiana, si chiamava Diakron. Dell'uno e dell'altra si sono perse le tracce. I club - anche nel 1994 si chiamavano così - li guidava Angelo Codignoni, un omone paziente e dalla voce morbida.
Arrivò a formarne più di 8 mila, con quasi due milioni di iscritti, anche attraverso delle cartoline che in seguito crearono un sacco di problemi perché sciogliere quelle strutture, alcune in Sicilia pure un po' sospette, fu un'impresa. A un certo punto pure Codignoni sparì dalla politica, si disse «in prestito» a una tv sportiva di Tarak Ben Ammar.
La stesura del programma del «Buongoverno» di Berlusconi era affidata al professor Giuliano Urbani, che oggi appare piuttosto disamorato. La tessera numero tre di Forza Italia toccò di diritto al generale Luigi Calligaris, con cui poi le cose non filarono tanto bene. Tra i fondatori e le vecchie glorie va annoverato anche Alfredo Biondi, che in quei
frangenti Berlusconi volle qualificare come «il mio maestro».
Più che «scendere in campo» il Cavaliere s'interrogava sulla opportunità di bere «l'amaro calice ». In realtà aveva già deciso, anche di sperimentare quel tipo linguaggio che gli studiosi avrebbero in seguito designato «cristico ». Così a Vittorio Sgarbi fu affidato il ruolo di «Giovanni Battista », anche se Silvione si peritò di spiegare che con «la Salomè» non correva rischi essendo «un esperto del ramo».
Gli anniversari sono per loro natura liquidi, nel senso che riempiono bicchieri pieni o vuoti. Fino a pochi giorni fa Berlusconi era così nelle peste da aver cancellato ogni possibile ricordo, manifestazione, meeting o memorial che fosse. E infatti se ne andrà con Giovanni Toti - astro nascente o calante non si è ancora capito bene - in una beauty-farm sul lago di Garda. E anche se nel giro di una settimana le sue sorti politiche si sono rovesciate per il meglio, ora che un po' si è cucito e un altro po' gli hanno cucito addosso l'abito di Padre della Patria, beh, forse Berlusconi non ha lo stesso tanta voglia di far memoria di quella stagione.
Così lontana, nei tanti che mancano, da sembrargli irriconoscibile, o troppo malinconica in ciò che si è perso, e nel tempo che scorre senza misericordia. Pilo, Codignoni, Urbani, Biondi. Se guarda indietro, Berlusconi rischia di vedere solo se stesso. Previti ormai è fuori, Dell'Utri con un piede già dentro. E Mamma Rosa, Veronica, gli amici che come Carlo Bernasconi se ne sono andati per sempre. Marinella, storica segretaria, non c'è più. Fabrizio Lauri, marito di lei e assistente personale, nemmeno.
Se n'è andata anche la Miti Simonetto, fidata addetta all'immagine, con la sua borsetta magica di trucchi. Il maggiordomo Alfredo ha aperto un ristorante. Fra mitografia e leggenda nera, per forza di cose, i giornalisti politici tendono a sacrificare l'umanità dei protagonisti. Sennonché vent'anni non sono solo un ciclo di potere, ma anche un bel pezzo di esistenza. Quanti abbandoni morbidi, quanti pesci in faccia, quanta gente che nel 1994 era al suo fianco e che si è persa per strada.
Ce n'è abbastanza per fare un altro partito! Dini, Podestà , Scognamiglio, gli avvocati Dotti e Della Valle; la vecchia guardia di Publitalia e della Fininvest, Lo Jucco, Spingardi, Palmizio, Cipriani, Stracquadanio, Bob Lasagna. E tutti quei futuri «berluscones » invitati, provinati e promossi in quattro e quattr'otto fra Arcore e via Isonzo: gli onorevoli Broglia, Teso, Mezzaroma, Savarese, lo psicologo esoterico Meluzzi, i due Caccavale, Ernesto e Michele, quest'ultimo poi autore di un polemico libro dal titolo «Il grande inganno» (Kaos, 1997), e Bertucci, Saro, Musotto, Saraca, che pure fondò in centroamerica «Arriba Nicaragua»; per non dire delle onorevolesse Matranga, Scirea e Parenti, altrimenti detta «Titti la Rossa».
Rivista con gli occhi di oggi, fu comunque una straordinaria corsa contro il tempo. Meno chiaro è quando sia cominciata, forse già nei primi mesi del 1993, quando veniva giù la Prima Repubblica e a Roma e Milano prese il via una misteriosa campagna di affissioni (by Marco Mignani) con un bambino e un claimstudiatamente scorretto: «Fozza Itaia».
Il nome corretto, d'altra parte, oltre che dovuto al genio creativo del Cavaliere, era frutto di un astuto riciclaggio della campagna di Marco Testa per la Dc alle elezioni del 1987: «Forza Italia» e seguiva «fai vincere le cose che contano». A rivedersi le cronache di allora, si capisce come tutto fu programmato a partire dal mese di dicembre come una specie di strip-tease: il simbolo, il nome, l'auto-appellativo di «azzurri», il kit, la dichiarazione di Casalecchio, l'annuncio agli imprenditori durante un pranzo al Savini
(risotto allo champagne), il giuramento nella piccola patria di Brugherio («Ci rivedremo a Palazzo Chigi o sulla mia tomba»), i corsi con Alberoni e Baget Bozzo, la scelta di via dell'Umiltà , la rottura con Montanelli, il lancio dell'inno, l'ambigua e non elegantissima presa di distanza da Craxi («Io gli ho mandato qualche cartolina, la sinistra c'è andata a letto»), la benedizione di Studi cattolici e quella di Gelli.
Tutto questo era già avvenuto prima della famosa «cassetta della calza», che poi in realtà era un filtro per rendere l'immagine di Berlusconi più morbida e sfumata. Emilio Fede fu il primo a diffonderla. Superba, la sinistra non capì e insieme sottovalutò il prodigio. Eppure c'erano già stati Collor, Ross Perot, Timinskj e, più modestamente in Italia Cito. Già circolava il sosia di Berlusconi, già il fratello Paolo aveva guai con Tangentopoli e già Dino Risi voleva fare un film. In Emilia, fu scovato un imprenditore miliardario che sosteneva di aver dato lui l'idea a Berlusconi. Magari era anche vero - riservando gli anniversari liquidi improbabili, ma anche simpatiche sorprese.
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