DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Ernesto Menicucci per “Il Corriere della Sera”
«Ho capito troppo tardi chi è Marino...». Guido Improta, ormai ex assessore ai Trasporti, il più «renziano» della giunta, entrato in Campidoglio per volere dell’attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che indicò il suo nome nell’estate del 2013, è fuori di sé dalla rabbia. Deluso, amareggiato, quasi umiliato. A livello personale, prima ancora che politico. Un animale ferito, che medita come reagire: «Adesso è giusto che tutti sappiano come si comporta il sindaco», dice ad una ristrettissima cerchia di amici. E quando dice «tutti», si capisce benissimo a chi si riferisca Improta.
Le sue prime telefonate, infatti, sono con Palazzo Chigi, con gli uomini più vicini al premier, che proprio l’altra sera aveva accomunato il governatore della Sicilia Rosario Crocetta al primo cittadino della Capitale («governino o vadano a casa», le parole di Renzi). La reazione di Marino, il giorno dopo, è «licenziare» dalla giunta proprio l’assessore renziano, ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo Monti, napoletano verace (uno dei pochi che non beve caffè...), vicino a Francesco Rutelli (è stato suo collaboratore alla vicepresidenza del consiglio), già direttore dell’Azienda di promozione Turistica di Roma, ex dirigente di Alitalia.
Un «pezzo da novanta», considerato fin dall’inizio il migliore della giunta, l’uomo che curava i dossier più delicati, incensato a più riprese da Marino che gli aveva anche affidato i (difficili) rapporti con l’Assemblea Capitolina e la sua turbolenta maggioranza. Per tutti, Improta è stato per lungo tempo «SuperGuido», quello che nel primo (e unico) team building organizzato da Marino in un albergo alle terme di Tivoli per fare squadra, ad elezioni appena avvenute, si permetteva di «lanciare» in piscina l’allora assessora al Bilancio Daniela Morgante, magistrato della Corte dei Conti.
I due poi, sono entrati in rotta di collisione sui pagamenti della metro C (favorevole lui, contraria lei) ed Improta disse: «Ne resterà uno solo». Pensava di essere lui e per un po’ è stato così. Poi, negli ultimi mesi, i rapporti con Marino si sono via via deteriorati. Il sindaco, diffidente per natura, prima ha cominciato a sospettare che Improta facesse «alleanze» con uno dei suoi nemici giurati, il senatore di Ncd Andrea Augello, autore di una cinquantina di interrogazioni parlamentari contro la giunta della Capitale.
E poi il sindaco si è sentito «tradito» dalle dimissioni annunciate da Improta, nel mezzo della bufera politica del primo affondo di Renzi (quando disse a Porta a Porta : «Marino si guardi allo specchio e decida se andare avanti»). Improta fece trapelare le sue dimissioni e staccò la spina: «Non condivido più niente di quello che fa, così andiamo solo a sbattere. A queste condizioni non ci sto più», il suo pensiero. Una critica molto dura:
«Dovevo restare due anni, ho fatto il mio tagliando. Il sindaco, ormai, è fuori di testa...».
Era il 20 giugno, quando il Corriere pubblicò la notizia. Da allora, però, è iniziato il lungo addio. Improta era dimissionario, ma «congelato», tanto da partecipare all’apertura di un nuovo tratto della linea C e alle trattative sindacali coi macchinisti di Atac. Del resto, nel lungo colloquio di oltre tre ore avuto al Campidoglio con Marino, era stato proprio il chirurgo dem (d’accordo con Matteo Orfini) a chiedergli a mani giunte di rimanere, di «aspettare la relazione Gabrielli» (che all’epoca doveva ancora arrivare): «Mi aveva addirittura proposto di fare il vicesindaco», racconta ora Improta ai suoi più stretti collaboratori.
ROMA - LA METROPOLITANA VIAGGIA CON LE PORTE APERTE
Solo che il lungo addio è diventato lunghissimo, il dimissionario è diventato «eterno dimissionario» e nel frattempo la vicenda trasporti è esplosa: caos sulle metro che viaggiano a porte aperte, Atac che fallisce. E Marino che, con un colpo di coda, consuma la sua vendetta.
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