livia giulio andreotti

ADDIO ALLA 'MARESCIALLA': È MORTA LIVIA ANDREOTTI, MOGLIE DEL DIVO GIULIO. LA DONNA CHE TENNE INSIEME LA FAMIGLIA MENTRE LUI ERA VIA: "IO L' HO SEMPRE RISPETTATA E AMATA. NON POTEVO PERMETTERMI DI ESSERE, OLTRE CHE ASSENTE, ANCHE CATTIVO" - LE CHIESE DI SPOSARLA AL CIMITERO

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1. ADDIO ALLA SIGNORA ANDREOTTI: «COLONNELLA» IN FAMIGLIA, QUASI INVISIBILE IN PUBBLICO

Massimo Franco per il “Corriere della Sera

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Giulio mi faceva la corte con una tale discrezione che non me ne ero accorta», raccontava con una punta di civetteria. Livia Danese in Andreotti era fatta così: una signora romana minuta, colta e riservata, con una ironia insospettabile. Quel ragazzo magro, alto, serissimo e un po’ curvo sin da giovane, l’aveva sorpresa con strani regali: come un paio di calze risultate una più lunga e una più corta. 
 

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Livia dominava la sua famiglia con piglio così autoritario da meritarsi il nomignolo di «Colonnella». Il figlio Stefano e la figlia Serena raccontavano che la mamma li educava «con una rigidità da Gestapo».

 

Ricordavano sempre il triste rito del taglio dei capelli quando venivano messi in fila e affidati a un barbiere che la madre convocava ogni due o tre mesi. «Più che tagliarci i capelli ci tosava tutti e quattro, i due maschi e le due femmine. Capelli a spazzola per tutti». Livia Andreotti aveva anche il vezzo di cucire a macchina. «Il risultato era che i nostri grembiuli scolastici li faceva lei. Ma invece di farli con i bottoni davanti, li metteva dietro. A volte ci confezionava pure i vestiti. Terribili». 
 

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Ma pubblicamente Livia Andreotti (nata nel 1921) era un personaggio sconosciuto, invisibile se non nella cerchia ristretta degli amici, e anche la sua scomparsa è stata discreta. Da anni la signora viveva in un suo mondo nell’appartamento di famiglia in corso Vittorio Emanuele, affacciato sul Tevere e sul Vaticano. Era assistita e visitata costantemente dai figli e dalle figlie, anonimi per il grande pubblico come lei. 

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La malattia che l’aveva colpita negli ultimi anni le aveva almeno risparmiato la sofferenza di rendersi conto della morte del marito. Erano stati insieme per più di sessant’anni, condividendo la gloria del potere e il deserto sociale quando Andreotti era stato processato.

 

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Si erano conosciuti nel 1943 e sino a ieri Livia Danese in Andreotti è stata la vera personalità forte della famiglia: persino quando, spaventata dalle minacce delle Brigate rosse al marito negli anni Settanta e dai processi per mafia negli anni Novanta, aveva mostrato un’improvvisa fragilità cadendo in una brutta depressione. 
 

Lei aveva tenuto insieme la famiglia di quel politico democristiano spesso assente, e associato alle tenebre del potere per antonomasia. Lei sorprendeva gli intervistatori ammettendo di essere stata affascinata dallo «sguardo penetrante di Giulio». 
 

Per capire e completare le immagini di quel personaggio controverso, la signora Livia era essenziale: anche se pochi lo capivano perché lei si sottraeva a qualunque protagonismo. Eppure, l’arguzia andreottiana era sua quanto e forse più del marito, seppure riservata soltanto alla famiglia. Fu lei a raccontare che, durante la Seconda guerra mondiale, i Danese chiesero alla figlia di andare al camposanto a vedere se la tomba di famiglia era stata danneggiata.

 

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Andreotti la accompagnò. «E mentre tornavamo — raccontava Livia — mi fece un lungo discorso dal quale emerse una novità: mi chiedeva di sposarlo. Non pretendeva una risposta immediata, mi disse che potevo pensarci anche a lungo. Io, invece, gli risposi di impulso di sì». Come regalo di fidanzamento, ricordava con la sua erre francese, Giulio le regalò un anellino con brillante e rubino, e una forma di pane casareccio: dono prezioso in tempo di guerra. Guarda il caso, a Giulio, la pagnotta era stata regalata da un amico cardinale. 


I funerali si terranno domani alle 9 nella basilica di San Giovanni dei Fiorentini a Roma. 

 

 

2. È MORTA LIVIA, LA MOGLIE DI ANDREOTTI UNA VITA SILENZIOSA ALL' OMBRA DEL DIVO

Mario Ajello per "Il Messaggero"

 

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Di cognome, da ragazza, si chiamava Danese. Ma ha sposato il Divo Giulio, e dunque: Livia Andreotti. Era malata da tempo, da prima che il marito morisse nel 2013, e si erano sposati nel 1945. «Non vuole mai partecipare alla mia vita politica e di rappresentanza», diceva di lei lo statista democristiano: «E forse ha ragione». Qualche volta accompagnò Andreotti ministro degli Esteri nei viaggi diplomatici, «ma non era affatto contenta», spiegava lui. Il quale applicava la sua ironia anche alla consorte: «É figlia di un funzionario delle ferrovie, ma lei é un tipo piuttosto stanziale».

 

Detenendo un potere vero - quello della capacità di farsi ascoltare dal marito - non bisogno di ostentare nulla. La discrezione andreottiana é rimasta leggendaria, moltiplicata per due si capisce bene che cosa é stata sua moglie. Le piaceva pregare, nella chiesa sotto casa, quella di San Giovanni dei Fiorentini, e se non é detto che il Divo Giulio o Belzebú pregasse davvero (o meglio pregava a suo modo) pare che sia sicuro che lei il Pater Nostro lo recitasse con tutti crismi della normale cattolica osservante. «In casa il bastone di comando lo tiene lei», assicurava lui, «anche a causa della mia vigliaccheria. Non mi piace prendere decisioni». Il che, forse, più di un problema domestico si é rivelato un problema, o una risorsa, nazionale.

 

QUATTRO FIGLI

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Madre di quattro figli, Livia. Di lei Andreotti diceva di continuo: «Non si é mai impicciata di politica». Preferiva agite come «guida operosa» di figli e nipoti. Perciò Enzo Biagi la soprannominó «la Marescialla». Per l' educazione rigida impartita alla prole. Oggi sarebbe impossibile il modello Livia. Il maschio di potere é spesso incerto, e la donna che ha accanto allarga la propria sfera di influenza. Livia come l' opposto di Francesca Pascale. Non ha mai messo bocca negli affari politici della Dc.

 

«Non c' è aneddotica sulla moglie di Andreotti», si lamentava Biagi. Ma in realtà le storie di Livia, nome romano per eccellenza, di quelli che piacevano al Divo Giulio, che era un quirita doc, era il mRito a spacciarle. Pur di ribadire la propria normalità di personaggio pop. «Sono soddisfatto della mia vita coniugale - disse in una intervista il leader della Dc - e la casa é stata tenuta benissimo. Livia é stata un correttivo al mio disordine.

 

Se lascio un po' di confusione sul mio tavolo di lavoro, lei lo mette in ordine. Potevo sperare di più?». E ancora: «Io l' ho sempre rispettata e amata. Non potevo permettermi di essere, oltre che assente, anche cattivo».

 

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Si racconta che lui le avesse chiesto di sposarlo in un cimitero. Mentre pregavano sulla tomba di un amico comune. Perciò Andreotti ha sempre definito il loro rapporto una «affinità spirituale». «Ogni tanto - ha raccontato lo statista democristiano - lei brontola con me e io brontolo con lei. Ma ci siamo abituati.

 

Questa forma di convivenza». E comunque. É da cult la scena del film "Il divo" di Paolo Sorrentino.

 

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C' è Andreotti, interpretato da Toni Servillo, e la moglie (interpretata da Anna Boniauto) che vedono al tivvú nel salotto di casa a Corso Vittorio. Sono sul divano e fanno zapping tra un concerto di Renato Zero e le battute di Beppe Grillo. Presumibilmente gradiscono più il primo del secondo, ma «il nostro almeno da parte mia - diceva Andreotti - é un sodalizio fatto più di silenzi che di parole».

 

E dunque, l' andreottismo come formula di approccio alla realtà prima ancora che alla politica Livia l' ha sperimentato prima di tutti e più di tutti. Quando Giulio muore, Livia - malata - é come se non riuscisse a capire quello che stava accadendo. Il marito é adagiato, vestito in doppio petto sul suo letto, e lei gli stringe la mano. Mentre intorno la tribù andreottiana, familiare e politica, nella grande casa al centro di Roma si riunisce e si commuove.

 

Lei invece, immobile, silenziosa.

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Erano stati insieme 69 anni. «Litigi? Quelli politici sono molto peggiori di quelli familiari. Ma io no. Ho mai avuto ne veri litigi politici ne veri litigi familiari». Parola di Giulio. E in questo c' è tutto lui. Ma anche tutta lei.

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