
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"
L´innocente non sapeva che la cosa era impossibile, e la fece. Questa specie di aforisma, uno dei suoi preferiti, si adatta abbastanza bene all´inusitata onestà e al brillante pessimismo di Mino Martinazzoli, che ieri se n´è andato a 80 anni: senza colpe, privilegio unico per un politico onesto come nessun altro, ma fino all´ultimo inchiodato, per non dire crocifisso a un esito politicamente catastrofico, quanto può esserlo stato la disfatta terminale della Dc, su cui egli mise la firma e la faccia, come si dice in questi tempi - e come a lui, uomo raffinato e nemico delle apparenze, quasi certamente non piacerebbe.
E tuttavia quella sconfitta, la fine a suo modo ingloriosa dello scudo crociato, trova oggi un riscatto postumo nel tormento del suo ultimo segretario, che fu senz´altro all´altezza del dramma; e a scartabellare tra le cronache fatali del crollo della prima Repubblica, tra le retate di Mani Pulite, i referendum di Segni e l´esplosione della Lega, non è affatto vero, come pure si continua a scrivere, che Martinazzoli liquidò tutta quella storia con un semplice fax o un telegramma di dimissioni. Rimase invece, sia pure più che angosciato, fino a quando era giusto restare a piazza del Gesù, fino cioè al 30 marzo del 1994, dopo la vittoria di Berlusconi.
Ma già all´apice della sua carriera - altra parola che non avrebbe mai usato per se stesso - aveva detto (a don Mazzi): «Mi sento il frutto della disperazione». Appena eletto segretario, nell´autunno del 1992, un deputato siciliano lo salutò: «Dio ti aiuti!». E anche qui la risposta di Martinazzoli dice parecchio di quello che allora si teneva dentro: «Dio si è voltato dall´altra parte».
Papa Wojtyla gli fece poi notare con un sorriso che il Padreterno non si volta mai. Ma le virtù teologali mal si accordano con le vicende politiche, e la gloria di questo leader troppo a lungo annunciato e troppo presto divenuto crepuscolare, coscienza critica e insieme profeta di sventure, sta proprio nell´aver fatto il suo dovere sapendo che tutto era ormai perduto.
D´altra parte si definiva «non superbo, ma superfluo». Diceva, con l´amatissimo Kraus, o con Kierkegaard: «Chiunque abbia qualcosa da dire, si faccia avanti e taccia». Oppure - e nel tempo delle barzellette berlusconiane vale la pena di ricordare qualche altro dei diletti aforismi che Martinazzoli dispensava a cronisti e platee con una smorfia amaramente compiaciuta: «In politica, come nella vita, si costruisce solo sulle proprie rovine».
Fino al più terribile, mentre per la Dc subissata dagli scandali e dalle faide, si approssimava la domenica senza il tramonto: «La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è la rotta, ma ciò che mangeremo domani».
Veniva dal cattolicesimo lombardo, liberale, illuminato e solidarista della Brescia di monsignor Montini, dei Trebeschi e dei Bazoli. Esordì dinanzi al grande pubblico come amletico presidente della Commissione Inquirente ai tempi dello scandalo Lockheed; senatore e deputato, è stato capogruppo, ministro della Difesa, della Giustizia, delle Riforme e in un congresso del 1989, al Palasport, come archetipo del vincitore morale fu applaudito per venti minuti (il giorno dopo gli andreottiani mobilitarono la claque e il Divo ebbe 21 minuti).
Avvocato strappato alla letteratura, adorava Manzoni e Gadda, ma anche Aldo Busi, che a suo tempo gli riconobbe «una bella faccia da capo Sioux» e aggiunse che lo trovava «sexy e maschile». Fascinoso senza dubbio, formidabile oratore d´altri tempi, intenso anche nel mormorio, ma talvolta sottile fino all´eccentricità e alla complicazione.
«Uno strano democristiano», davvero, come s´intitola la sua autobiografia, scritta con Annachiara Valle (Rizzoli, 2009). Virtuoso della litote, dell´ossimoro e in generale del paradosso, si deve a lui una fulminea definizione dei craxiani: «Sembrano cinici, e invece lo sono»; ma con Craxi è quasi sempre andato d´accordo. Si considerava, ricambiato, amico di Marco Pannella. Non prendeva mai l´aereo, detestava la televisione e il telefonino.
Nel suo primo discorso da segretario dc paragonò Bossi a un tipo strambo delle sue parti, Paneroni, che con un secchio d´acqua e un limone cercava di dimostrare come fosse il sole a ruotare attorno alla terra. La replica del Senatùr aprì un genere: «La Dc ha trovato un chierico per il funerale finale».
In realtà , come è noto, non esistono funerali intermedi, ma da allora su Martinazzoli, e ancora di più quando accompagnò la Dc alla sua fine per dare vita al Ppi, cominciò ad aleggiare una fama funerea su cui Vittorio Feltri, assiduo e sagace tormentatore, si esercitò producendo una vasta gamma di soprannomi: «Catafalco», «Cordoglio», «Cipresso», «Fuoco fatuo», «SalMino», «CrisanteMino», «Becchinazzoli», «Mortinazzoli» e tanti altri che oggi, lungi dal suonare irriguardosi, fanno piuttosto pensare alla vanità del potere e all´innocenza che sola, forse, può redimerlo.
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