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Marco Lillo per "Il Fatto Quotidiano"
L'inchiesta è già partita. Il capo della Gendarmeria dello Stato Vaticano, Domenico Giani, è stato investito ufficialmente e sfrutterà tutti i poteri di cui dispone. Questo ex funzionario dei servizi segreti civili italiani, proveniente dai ranghi della Guardia di Finanza, da quando nel 2006 è divenuto ispettore generale del corpo che cumula le funzioni di polizia, vigili del fuoco e servizio segreto, ha stravolto e potenziato la struttura che ha raccolto l'eredità delle disciolte forze vaticane.
Oltre alle novità sbandierate per dare l'impressione di un corpo moderno come le Ducati 1200 e le Smart elettriche, i corsi all'Fbi, l'adesione all'Interpol e l'istituzione di un gruppo di pronto intervento antiterrorismo, Giani dispone di una vera e propria sala segreta per le intercettazioni telefoniche e ambientali alla quale può accedere con tessera elettronica solo un numero ristretto di fedelissimi.
Questa squadretta abile anche nei pedinamenti fa della Gendarmeria un'arma temibile nelle mani del promotore dell'azione penale, l'avvocato Nicola Picardi, che riveste le funzioni di pm nello Stato Vaticano. A sua volta Picardi risponde formalmente al Santo Padre ma le leve reali del potere, sono come al solito nelle mani del cardinale Tarcisio Bertone.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali sono già state usate nell'ambito dell'inchiesta scaturita dalle lettere dell'ex segretario generale del Governatorato Carlo Maria Viganò, poi promosso-rimosso nunzio negli Stati Uniti. Nel 2008 un'altra indagine delicatissima era stata affidata alla Gendarmeria per appurare cosa ci fosse di vero nelle ricorrenti denuncie che giungevano sui servizi tecnici del Governatorato.
Si potrebbe immaginare che al centro dell'inchiesta affidata alla Gendarmeria stavolta ci sia l'angoscioso oggetto in neretto in testa al documento pubblicato dal Fatto venerdì: "il Cardinale Romeo ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi.
Le dichiarazioni del Cardinale sono state esposte, da persona probabilmente informata di un serio complotto delittuoso, con tale sicurezza e fermezza, che i suoi interlocutori in Cina hanno pensato con spavento, che sia in programma un attentato contro il Santo Padre".
Ma la sensazione è che, come nel caso dell'inchiesta scaturita dalle denuncie di monsignor Viganò, gli accertamenti non mirino tanto a sfruttare la finestra aperta dai documenti consegnati alla segreteria di Stato e poi pubblicati dai giornali bensì a chiuderla.
L'indagine della gendarmeria accerterà come il documento sia giunto nelle mani del Cardinale Dario Castrillon Hoyos e cercherà di chiarire anche le misteriose circostanze del viaggio in Cina del cardinale Paolo Romeo. Ieri l'arcivescovo di Palermo ha tenuto a ribadire: "indiscussa fedeltà e gratitudine per quanto ci dona attraverso il suo illuminato magistero al Santo Padre". Ma il giallo sul suo viaggio in Cina, misterioso e non autorizzato ufficialmente, resta.
Ma soprattutto l'indagine punta a scoprire chi ha fatto uscire dalle mura leonine i documenti pubblicati in questi giorni dal Fatto. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone è letteralmente infuriato per quello che ha letto. Il documento consegnato dal cardinale Dario Castrillon Hoyos a metà gennaio era ovviamente noto al cardinale ma leggere quel documento sui siti di mezzo mondo non gli ha fatto certamente piacere.
Anche perché in quel testo sono riportate considerazioni che non mettono certo in buona luce Bertone. Il segretario di stato è dipinto come un collaboratore non stimato e mal-sopportato da Ratzinger e per di più come un elemento poco gradito anche al successore designato da papa Ratzinger: l'arcivescovo di Milano Angelo Scola.
Su questo secondo punto delicatissimo, quello della successione a Benedetto XVI, però oggi il Fatto pubblica un altro documento inedito che dimostra come talvolta il Papa non segua i consigli dell'arcivescovo Scola. Anche quando si tratta della sua vecchia diocesi.
Da poche settimane, come è noto, è stato nominato patriarca di Venezia monsignor Francesco Moraglia. Per quel posto prestigioso (dal quale spiccarono in passato il volo verso Roma ben tre pontefici) erano in ballottaggio due nomi: Moraglia appunto e Andrea Bruno Mazzoccato, arcivescovo di Udine.
Il Fatto ha rintracciato una lettera del 31 ottobre del 2011 scritta proprio dall'ex patriarca di Venezia, Angelo Scola al Nunzio in Italia Luca Lorusso. Il nunzio chiedeva a Scola di indicare un nome per la sua vecchia diocesi e l'arcivescovo di Milano rispondeva così: mi sento di indicare in ordine di preferenza i seguenti nomi: "1. S.E. Mons. Andrea Bruno Mazzoccato; 2. S.E. Mons. Francesco Moraglia; 3: S.E. Mons. Gianni Ambrosio. Salvo miglior giudizio Nel Signore". E il giudizio del Papa è stato opposto: il patriarca di Venezia oggi è Francesco Moraglia.
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