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Alessandro Ferrucci per il “Fatto Quotidiano”
Caldo, afa, polvere e zanzare sono elementi spesso fisiologici in un’estate torrida, e non è colpa di Matteo Renzi, ci mancherebbe. Ma se alla festa dell’Unità di Roma, a caldo, afa, polvere e zanzare si sommano dibattiti improbabili, dove tutti i conferenzieri sono d’accordo, dove la socialdemocrazia europea, magari liberale, è il mantra e i leader greci dei cretini, allora può anche accadere che un militante de sinistra possa urlare “Viva Tsipras!”e se ne vada dal dibattito con un plateale “vaffanculo” agli agenti esterni e allo stesso Renzi.
Chi resta lo guarda con distacco. Ore sette e mezzo della sera, zona Montesacro: in questa parte di Roma ha traslocato la festa cittadina dei democratici, “sfrattati” rispetto alle classiche lande centrali, dove prati ben curati e rovine romane coccolavano le salsicce e le birre dei furono compagni. Altra storia, altro contesto, altra epoca, anche altro abbigliamento: giacca e cravatta sono sdoganati, così come i tacchi alti per le donne, lontani i tempi nei quali si andava alla Festa in pantaloncini corti, anche le ciabatte ai piedi, un casual liberatorio. Oggi no.
Così arriva Ettore, sessantenne pensionato, tessera nel taschino, ortodossia nel cuore, si guarda attorno, sembra aver perso qualcuno, in realtà non trova qualcosa: “Boh, non lo so, è una sensazione strana, è come se non fosse più casa mia, non riconosco i visi delle persone, e non è un problema di conoscenza diretta, una volta ci si annusava. Guarda quei due là...”. Giacca e cravatta, appunto. “E poi non c’è quasi nessuno, ma che succede? Vabbè, mi scusi, vorrei ascoltare il dibattito”. Prego.
La discussione è sempre quella sulla socialdemocrazia, c’è chi arriva a citare De Gasperi come uno dei padri fondatori del Pd, a qualcuno sale un brivido, ma non lo manifesta, in fin dei conti lo ha detto anche Renzi, e il leader va assecondato, “perché è lui a comandare, è lui a decidere, ci stupisce sempre”, spiega un dirigente democratico, “e poi basta con questa idea di sinistra minoritaria votata al martirio”, incalzano dal dibattito. Nessun applauso. Nessuna reazione. Silenzio assenso.
Nel nuovo corso del Pd la sobrietà pare aver conquistato il posto d’onore, sobrietà con eleganza, magari si battono le mani appoggiando i polpastrelli l’uno contro l’altro; stesso trattamento agli odori: il tipico di salsiccia e patate fritte è forse smussato dal venticello, ma non si sente molto, mentre troneggiano i prodotti biologici. Ore nove. “Tra poco nel palco centrale il dibattito della sera dedicato alle regioni”. Eccoci. Tanti big sul palco, il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, dà il suo tocco ermetico: “La bestia populista non si doma nella dimensione autarchica”.
Stupore tra i presenti. Poco dopo Roberto Morassut prova a spezzare l’imbarazzo: “Ci vuole un ritorno della politica, la questione ci riguarda. Ma poi parliamo anche del Pd?”.
Gli altri sul palco lo rassicurano. In sottofondo si avverte un brusio quasi armonioso, poco lontano dall’area dibattiti si intravedono dei lumini, qualche ombra muoversi: è la comunità filippina, ogni sera, da tempo, si ritrova in questo parco per cantare a cappella e ballare, della Festa non interessa nulla, sono solo leggermente infastiditi dal vociare sul palco, così ogni tanto alzano il tono del canto, così come sul palco ogni tanto alzano il tono della voce. Un bel palleggio.
Alle dieci e mezzo finisce la discussione sulle regioni, chi resta si ferma per mangiare o passeggia tra gli stand commerciali. Come vanno gli affari? “Secondo lei?”. Non so. “Vede qualcuno in giro?”. No. “E allora? ’No schifo, ma oramai ci sono e mi sto massacrando di Autan: è pieno di zanzare”. Maledetta estate.
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