DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Pietro Salvatori per www.huffingtonpost.it
giuseppe conte e roberto ficoROCCO CASALINO GIUSEPPE CONTE
Appena Riccardo Ricciardi finisce di parlare la bagarre scoppia non solo nell’aula della Camera, dove i leghisti scatenano la protesta, ma anche all’interno del Movimento 5 stelle. Il vicepresidente dei deputati M5s è davanti a Giuseppe Conte, interviene per i pentastellati a seguito dell’informativa del presidente del Consiglio sulla situazione Covid-19, e scaglia un intervento durissimo per contenuto e toni contro la sanità della Lombardia e la Lega in generale.
“Che bisogno c’era di fare un intervento del genere?”, chiede una fonte M5s di governo. Le chat si infuocano. Giorgia Meloni attacca, fiutando una strategia complessiva: “Il collega non avrebbe fatto quell’intervento con quei toni se non fosse stato concordato con lei, presidente”. Fin qui nulla di strano. Se non che, dall’ultimo dei peones a diversi colonnelli di prima fila, con il passare delle ore si fanno convincere della bontà dell’interpretazione. Sentite uno di questi ultimi: “Mi sembrerebbe molto strano che, per un’informativa del capo del Governo, non ci sia stato nessuno scambio informale tra Palazzo Chigi e chi ha preparato il testo”. C’è chi è sicuro: “Il premier lo ha letto, se non lui almeno Casalino”.
Le voci arrivano fino a Conte, che per più volte nel corso della giornata risponde alla Meloni per lanciare un messaggio anche all’interno del partito di maggioranza relativa: “Si è insinuato che io in qualche modo condividessi l’intervento dell’esponente M5s Ricciardi, io non ho aizzato nulla. Ogni rappresentante di ogni partito fa i suoi interventi che ovviamente non vengono condivisi con il premier, è stato sempre così”. La frittata ormai è fatta.
Un robusto pezzo di Movimento considera ogni giorno di più il capo del governo un corpo estraneo, e ritiene che il suo disegno di sopravvivenza politica a medio termine sia quello di porsi quale anello di congiunzione tra il Pd e i 5 stelle, in un’ottica di stabili alleanze se non di federazione politica come blocco in contrapposizione al centrodestra.
Quella del traghettamento a sinistra è una manovra che, non è un mistero, non è mai andata a genio a Luigi Di Maio, tra i più scettici nella fase di formazione della cosa giallorossa, e alla parte pentastellata che ancora guarda a lui, così come alla maggior parte dei vertici, da Vito Crimi a Paola Taverna passando per Alessandro Di Battista.
Ricciardi, non è un mistero, è parlamentare considerato molto vicino a Roberto Fico, e il sospetto di una triangolazione tra Conte e quell’area per strattonare sempre più su posizioni antagoniste a quelle della Lega e del centrodestra tutto sta avvelenando in queste ore i pozzi della discussione interna.
D’altronde gli “indipendentisti” e l’area più affine al centrodestra hanno battagliato strenuamente contro la regolarizzazione di colf e braccianti, apertamente contestata quale sanatoria e a microfoni spenti come ennesima prova che a dettare l’agenda conte sia sempre più il Pd. “E ora a Renzi cosa daranno?”, si interrogano. E’ una questione sottile, di equilibri ed equilibrismi interni. Non si parla di nostalgie per il governo gialloverde, la Lega è per tutti lo spauracchio da agitare per smuovere il proprio elettorato. Ecco infatti a sera intervenire il capo politico pro tempore, nove ore dopo l’intervento del suo uomo: “La Lega non piagnucoli, quello di Fontana e Gallera è stato un fallimento epocale”. La partita è tutta sul futuro prossimo: cosa sarà il Movimento? quale la sua identità? chi lo guidera? quale sarà il ruolo di Conte?
Al capo del Governo è arrivato un segnale in codice. Quando il deputato Generoso Maraia ha notato che nel decreto Rilancio i comuni considerati zona rossa - e relativi fondi - sono solo quelli di cinque province del Nord, è partita una batteria a sostegno. “E’ doveroso correggere la norma in Parlamento”, ha detto Di Maio, seguito in batteria da Laura Castelli e Carlo Sibilia.
CARLO SIBILIA LUIGI DI MAIOLAURA CASTELLI
Il contesto è quello di un partito la cui assenza di guida ha dato il via libera alle tante anime che vi convivono di portare avanti temi e interessi spesso divergenti, in cui infuria la battaglia per il futuro capo politico. Paola Taverna ambisce al posto da tempi non sospetti, Vito Crimi sta silenziosamente coltivando l’ambizione, tra i due i rapporti sono tesi, soprattutto dopo una riunione convocata dalla vicepresidente del Senato alla quale il viceministro non è stato invitato. Su Di Maio il silenzio è tombale, anche se non si trova nessuno che escluda categoricamente il ritorno, mentre Di Battista avrebbe fatto sapere di non essere interessato (contestato com’è di menefreghismo da molti) e il partito anti-Raggi inizia a guardare a lui come possibile candidatura per il dopo. Tra Beppe Grillo e Davide Casaleggio sarebbe sceso il gelo. Il secondo avrebbe voluto sterzare subito su un nuovo capo a tutti gli effetti, ma il fondatore avrebbe dato l’altolà. Divisi su Rousseau ma anche sulla futura collocazione politica. L’infatuazione dell’ex comico per il Pd d’altronde non è un mistero.
riccardo ricciardi 2ROBERTO FICO E GIUSEPPE CONTEriccardo ricciardiGIUSEPPE CONTE ROCCO CASALINOriccardo ricciardi 2riccardo ricciardi 1riccardo ricciardi con mascherinariccardo ricciardi 4riccardo ricciardi riccardo ricciardiriccardo ricciardi 6riccardo ricciardi 1roberto fico contestato al vaffa day gay
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