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Nicola Lillo per La Stampa
Alla chiusura della Borsa lo spread supera la soglia critica dei 290 punti base. È a questo punto che una fonte di governo del Movimento 5 Stelle ammette: «Ci stanno facendo la guerra alle spalle. Anche Fitch con il suo giudizio sul rating. Ci stanno valutando senza ancora sapere nulla su ciò che faremo, basandosi solo sulle parole».
La preoccupazione nel governo Lega-M5S è molto alta. Il timore è di tornare all' autunno del 2011, quando l' Italia rischiò il baratro. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, in quel periodo era presidente della commissione Bilancio. Il braccio destro del leader della Lega conosce bene i mercati e gli operatori, ha un rapporto personale con il presidente della Bce Mario Draghi, e se oggi evoca quella fase parlando con i colleghi di governo («Si respira l' aria del 2011», avrebbe detto) significa che tra le sale di Palazzo Chigi c' è un vero e proprio terrore.
Il problema però - spiegano dai Cinque Stelle - non è il deficit sopra o sotto al 3% in vista della legge di Bilancio, né lo scontro con Bruxelles: «Se per assurdo il commissario europeo Pierre Moscovici dovesse concederci il 5% di deficit, i mercati comunque non si placherebbero. Il problema della sostenibilità del nostro debito rimarrebbe».
Ciò che preoccupa di più il M5S sono i mercati finanziari, in poche parole lo spread e la fuga degli investitori. È per questo che il governo ha messo in piedi un piano diplomatico su più fronti, in attesa che il ministro dell' Economia Giovanni Tria possa incontrare gli investitori internazionali quando la linea per la manovra sarà finalmente chiara, cosa che però appare ancora lontana.
Tre le mosse dell' esecutivo nelle ultime settimane, tutte collegate tra loro: l' incontro negli Stati Uniti tra il premier Giuseppe Conte e Donald Trump; la visita a Draghi del ministro Paolo Savona; il viaggio in Cina di Tria. Due potenze mondiali e la Banca centrale europea che non devono per forza «aprire il portafogli. Ai mercati basta che loro aprano la bocca e dicano parole di fiducia nei confronti dell' Italia.
Il tentativo in realtà è di trovare uno scudo per proteggersi nel caso di tempesta finanziaria. Il problema però è che il piano del governo è un desiderio irrealizzabile su tutti e tre i fronti. Un aiuto da parte degli Stati Uniti sarebbe complicato. La Federal Reserve infatti non risponde ai desiderata del presidente Trump. La Banca centrale europea invece non può comprare i titoli italiani, lo prevedono lo statuto e i trattati europei: l' unica possibilità sarebbe usare l' Omt (Outright Monetary Transactions), il famoso «whatever it takes» di Draghi, che però è condizionato a richieste durissime per chi ne beneficia.
giuseppe conte donald trump 10
Tradotto: l' arrivo della Troika. Infine c' è la Cina, l' unica probabilmente che potrebbe agire in modo concreto avendo tremila miliardi di dollari di riserve valutarie: ma a quale prezzo politico? Al di là comunque dei desideri e dei progetti dei Cinque Stelle, la manovra sarà decisiva per la stabilità finanziaria.
Eppure nel governo non c' è una linea chiara. Il ministro Tria punta a un deficit intorno all' 1,5% - comunque più alto rispetto allo 0,8% programmato - mentre Lega e Cinque Stelle vogliono fare di più, eventualmente sfondando il limite del 3%.
Per questo la prossima settimana è in programma un incontro a Palazzo Chigi tra il premier, i due vice e i ministri economici per tentare di mettere le cose in chiaro e decidere una linea comune, anche sul fronte comunicativo. Non sarebbero piaciute alcune esternazioni dei ministri, come le proposte di sgravi per il Sud del ministro Barbara Lezzi: anche perché le priorità restano la «flat tax» e il reddito di cittadinanza, già di per sé molto costosi e difficilmente realizzabili.
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