DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
1. FONTI DI DAMASCO: «SE GLI USA CI COLPIRANNO SIAMO PRONTI A CONTRATTACCARE ISRAELE» - NETANYAHU AVEVA GIà DETTO: «PREPARATI A TUTTO»
Corriere.it
La militante agenzia iraniana Fars, vicina al Corpo d'elite dei Pasdaran, cita una «alta fonte delle forze armate siriane» per lanciare un avvertimento agli Stati Uniti e ai suoi partner che stanno valutando un attacco «mirato» a Damasco: osare una vera guerra scatenerà un immediato contrattacco a Tel Aviv da parte della Siria e i suoi alleati.
«LICENZA PER COLPIRE TEL AVIV» - «Se Damasco viene attaccata, anche Tel Aviv verrà presa di mira e una vera guerra contro la Siria produrrà una licenza per attaccare Israele», avrebbe detto la fonte anonima alla Fars. «Siamo sicuri che se la Siria è attaccata - ha affermato inoltre il militare siriano - anche Israele sarà messo a fuoco e un simile attacco» inoltre «impegnerà i vicini della Siria». La fonte ha messo poi in guardia che «indebolire il governo centrale di Damasco comincerà a far crescere gli attacchi contro Israele» anche da parte di «gruppi estremisti che troveranno un motivo per attuare le loro aspirazioni».
«DA ISRAELE PESANTE TRIBUTO» - Dal canto suo un deputato israeliano, Mansour Haqiqatpour, parlando all'agenzia ufficiale iraniana Irna ha sostenuto che gli Usa dovrebbero essere consapevoli che un attacco alla Siria comporterà per loro il pagamento di un «pesante tributo».
MINACCE ANCHE DA HEZBOLLAH - E se le potenze mondiali lanceranno un attacco contro la Siria destinato a cambiare l'equilibrio dei poteri del Paese, anche gli sciiti libanesi di Hezbollah entreranno in azione e prenderanno di mira il territorio israeliano, bersagliandolo di razzi.
Lo scrive il Daily Star, citando fonti vicine al gruppo guidato da Hassan Nasrallah. Una di queste fonti ha spiegato che Hezbollah non interverrà se gli Stati Uniti e i suoi alleati si limiteranno a un'azione «punitiva» contro Assad. Ma se l'obiettivo è eliminare il presidente siriano, una reazione degli sciiti libanesi sarà inevitabile: «Un attacco occidentale di vaste dimensioni trascinerà immediatamente il Libano in una guerra da inferno contro Israele».
NETANYAHU: «PRONTI A OGNI SCENARIO» - Intanto martedì era già arrivato il monito del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu: nel caso di rappresaglie del regime di Damasco contro lo stato ebraico a seguito di un eventuale attacco missilistico a guida Usa, i militari risponderanno «con forza». Lo stato di Israele «è pronto per ogni scenario. Non siamo parte della guerra civile in Siria - ha concluso Netanyahu - ma se identifichiamo un qualunque tentativo di nuocerci, risponderemo con la forza».
I MISSILI SIRIANI - Imprecisati «esperti militari» citati sempre dall'agenzia Fars ritengono che i «missili supersonici e anti-nave della Siria, inclusi gli Yakhont, Iskandar e gli Scud che non possono essere né intercettati né deviati dalle gigantesche navi da guerra della marina Usa stanno fungendo da deterrente per un attacco navale statunitense alla Siria».
LA RUSSIA: SERVE RESPONSABILITA' - «Qualsiasi uso della forza militare contro la Siria non farà altro che destabilizzare ulteriormente il Paese e la regione». Lo ha detto il capo della diplomazia russo Serghiei Lavrov in una conversazione telefonica con l'inviato dell'Onu e della Lega Araba per la Siria Brahimi. I due interlocutori, secondo il sito del ministero degli esteri russo, «si sono detti d'accordo sul fatto che in questo momento critico tutte le parti, compresi anche i «giocatori» esterni, devono agire con la massima responsabilità , senza ripetere gli errori del passato».
2. ISRAELE: "ASSAD VA CONTENUTO MA NON ROVESCIATO. MEGLIO CHE IL RAISS CHE AL QAEDA NON CADA"
Maurizio Molinari per La Stampa
«Serve un attacco militare mirato per impedire a Bashar Assad di vincere, non per rovesciarlo»: è questo il messaggio che Yaakov Amidror, consigliere per la sicurezza del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha portato alla Casa Bianca durante una riunione con la parigrado americana Susan Rice a cui hanno partecipato responsabili militari e d'intelligence dei due Paesi.
I concetti esposti da Amidror durante la riunione-fiume avvenuta martedì sera nella West Wing nascono dalla convinzione del governo di Gerusalemme che «al momento non ci sono soluzioni positive per la crisi siriana».
Anche per via del fatto che, come spiega Efraim Inbar direttore del centro Begin-Sadat, secondo una valutazione dell'intelligence israeliana, vi sarebbero in Siria almeno 10mila combattenti «jihadisti globali» ovvero riconducibili ad Al Qaeda e ai Fratelli Musulmani. E potrebbero essere loro a prevalere se il regime di Assad dovesse dissolversi.
à stato l'ex capo del Mossad, Efraim Ha-Levy, ad affermare in un'intervista televisiva che «Assad non deve cadere», esprimendo i pareri prevalenti nell'establishment della sicurezza israeliana, ma l'attacco condotto con i gas chimici nelle periferie orientali di Damasco ha obbligato a rimodellare tale posizione, in ragione della crescente determinazione della Casa Bianca ad intervenire.
Ecco perché Shlomo Brom, ex capo della pianificazione dell'Esercito israeliano a Washington per una serie di conferenze, spiega che adesso «l'interesse di Israele è che Bashar Assad non esca vittorioso dalla guerra civile» perché «ha legittimato l'uso delle armi chimiche in Medio Oriente creando un pericoloso precedente» e «la sua vittoria diventerebbe un successo strategico dell'Iran e degli Hezbollah che lo sostengono».
Sono tali valutazioni che spiegano perché Gerusalemme è in favore di un'azione militare limitata, finalizzata a «punizione e deterrenza» di Assad evitando però di indebolire il regime del Baath fino a farlo cadere. Si tratterebbe dunque più di un attacco simile a quello avvenuto nell'agosto del 1998, quando Bill Clinton ordinò di colpire Afghanistan e Sudan dopo gli attacchi di Al Qaeda contro le ambasciate Usa in Africa Orientale, anziché di una campagna come quella del 1999 contro Milosevic per il Kosovo.
Da qui le indiscrezioni che circolano a Washington sul fatto che esperti militari israeliani e americani abbiano discusso una lista selezionata di obiettivi da colpire tesa ad eliminare le armi più pericolose di cui dispone Assad: anzitutto quelle chimiche ma anche missili Scud, aerei e sistemi antimissilistici. Si tratta di armamenti forniti quasi esclusivamente dalla Russia, a partire dalla metà degli Anni Settanta e periodicamente ammodernati, che consentono ad Assad di colpire la popolazione civile e proteggersi dall'aria. Ma sono anche le armi più pericolose che potrebbero cadere nelle mani dei ribelli jihadisti in caso di dissoluzione del regime.
Le valutazioni israeliane sulla Siria nascono dalla convinzione che in questo momento la strategia da perseguire sia la «stabilità dell'instabilità » ovvero la continuazione del conflitto armato fra Assad, sostenuto da Hezbollah e Iran, e i «jihadisti globali»: si tratta dei più acerrimi nemici che Gerusalemme e Washington hanno nel mondo sciita e sunnita, e il loro reciproco dissanguamento di risorse umane e materiali viene considerato un elemento di stabilità regionale. Si tratta infatti di una riedizione, seppur in scala ridotta, del conflitto fra l'Iraq di Saddam Hussein e l'Iran dell'ayatollah Khomeini che fra il 1980 ed il 1988 paralizzò e indebolì quelli che erano all'epoca i più temibili avversari regionali di Usa ed Israele.
Ad avvalorare l'interesse di Gerusalemme per una Siria «stabilizzata dall'instabilità » c'è il rapporto della Cia pubblicato ieri dal quotidiano «Yedioth Aharot» sull'«incubo siriano di Israele» secondo il quale «la leadership dei ribelli è massicciamente infiltrata dai Fratelli Musulmani e dai jihadisti globali portatori di un'agenda estremista» aprendo lo scenario di un dopo-Assad «destinato ad assomigliare in peggio alle attuali situazioni di Egitto e Iraq, dove non si sa chi sia al comando». L'incubo per Israele è dunque quello di trovarsi circondata da gruppi estremisti: Hezbollah in Libano, Fratelli Musulmani e Al Qaeda in Siria, Fratelli Musulmani nella Striscia di Gaza e Fratelli Musulmani in Egitto.
Per scongiurare tale assedio Netanyahu sta già adattando la tattica militare - come i quattro raid in Siria e l'attacco dei droni in Egitto condotti nell'arco degli ultimi 12 mesi hanno dimostrato - d'intesa con i Paesi Arabi sunniti con cui più condivide l'interesse a contrastare in ogni maniera tanto l'Iran sciita che i Fratelli Musulmani: l'Arabia Saudita, che ha la maggiore capacità di intervento diretto in Siria, e la Giordania, considerata la nazione più a rischio di essere investita dal domino jihadista.
ASSADNETANYAHUVLADIMIR PUTIN E BARACK OBAMA jpegPutin e Barack Obama al summit G in Messico Dieci cose che accadono oggi martedi giugno h partb Navi Usa siria ribelli SIRIA RIBELLI CON CADAVERE SIRIA MILIZIANI DI UNA BRIGATA ISLAMICA SIRIA VOLONTARIE SUNNITE cameron obama SCIITI HEZBOLLAHHEZBOLLAHmossadTERRORISTA AL QAEDA
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