URSULA VON DER LEYEN HA PRESO PER LA COLLOTTOLA GIORGIA MELONI - A MARGINE DEL CONSIGLIO EUROPEO…
Marta Serafini per il “Corriere della Sera”
Li chiamavano i paladini della libertà. Eroi, che mettevano a nudo i potenti e i governi grazie alle loro capacità informatiche. Edward Snowden e Julian Assange: l' ex contractor della Cia passato dalla parte dei buoni e l' hacker australiano dai capelli bianchi.
A tre anni dal Datagate, i protagonisti della storia sono gli stessi. A cambiare, lo scenario e i ruoli.
Isis occupa le prime pagine di tutti i giornali, Washington accusa Mosca di tramare con l' obiettivo di influenzare il risultato delle elezioni, mentre deve cedere alle pressioni del presidente russo Putin in Medio Oriente. E Hillary Clinton, l' ex segretario di Stato che costringeva i whistleblower all' esilio per sfuggire all' accusa di tradimento in nome della sicurezza nazionale, ora si è trasformata in una candidata messa in imbarazzo di fronte al mondo.
E loro, i paladini del web, cosa sono diventati? «Due fuggiaschi che vivono nel limbo», come li ha definiti il giornalista britannico Archie Bland?
Due spie al soldo di Mosca, regime che tortura e imprigiona gli oppositori che loro stessi dicono di proteggere? Al netto delle speculazioni, i due oggi litigano su Twitter. Oggetto della discussione: i leak devono avere come solo scopo la verità o possono influenzare il corso delle elezioni? E, ancora, è possibile essere hacker e rimanere allo stesso tempo al di sopra delle parti ?
«Rendere pubbliche le informazioni non è mai stato così vitale. E WikiLeaks ha aiutato in questo processo. Ma la sua ostilità anche alla più modesta forma di curation (leggi la selezione e la verifica delle fonti) è un errore», ha twittato Snowden dopo la pubblicazione delle mail del comitato democratico. «Snowden, il tuo opportunismo non ti frutterà la clemenza di Clinton», è stata la replica.
Passati i tempi in cui Assange consigliava Snowden su come muoversi per ottenere asilo politico in Russia e gli offriva sostegno definendolo «un eroe», oggi il fondatore di WikiLeaks sembra aver cambiato strategia rispetto a quella del collega che scelse di collaborare con i giornalisti di Guardian e Washington Post per portare alla luce i sistemi di sorveglianza di massa statunitensi.
Meglio passare all' attacco frontale. E criticare senza pietà anche chi gli contesta infiltrazioni anti semite nel suo gruppo. Al posto del vecchio motto «scoperchiare i governi», Assange sembra aver deciso di decidere le sorti del mondo. «I leak delle mail democratiche hanno il chiaro scopo di danneggiare una candidata non di informare il pubblico», avverte Shane Harris, giornalista esperto di cyber security e autore di @War.
Risultato, Assange rilascia interviste alle televisioni russe e statunitensi in cui mostra i muscoli alla candidata democratica giurandole vendetta.
Chiuso nell' ambasciata ecuadoriana di Londra da quattro anni, guardato a vista dalle guardie britanniche pronte, nel caso in cui dovesse varcare la porta, a far scattare le manette in nome di svariati mandati di cattura, proposto più volte per il premio Nobel, il fondatore di WikiLeaks sembra aver deciso di diventare una pedina dello scacchiere geopolitico. Che poi a pubblicare i Panama Papers sia stato un consorzio internazionale di giornalisti e non la sua organizzazione, fa niente. Il suo obiettivo è cambiato.
Snowden d' altro canto vive ancora Mosca, esule pure lui con l' obiettivo di evitare il mandato di cattura statunitense. Una sorte strana per il figlio di un ufficiale di Guardia Costiera americano e per una ex recluta della Cia. Ma nemmeno troppo, se si considera che le sue rivelazioni hanno fatto tremare la Casa Bianca e l' intera Silicon Valley, mettendo a rischio poltrone e denari.
Pochissime apparizioni pubbliche, tanti post su Twitter per continuare a far sentire la sua voce, il whistleblower ha sempre ribadito di non aver contatti con il governo cinese o russo e di non aver mai fatto richiesta di asilo a Mosca. Al posto della politica, sembra preferire la progettazione. E una settimana fa è intervenuto in videoconferenza durante un incontro al Mit per annunciare il suo «introspection engine», una custodia per iPhone in grado di eludere i sistemi di sorveglianza.
Né per Snowden né per Assange esistono dunque prove che dietro i loro movimenti ci siano servizi segreti o governi nemici degli Stati Uniti.
Ma se internet si è trasformato in un campo di battaglia, è chiaro come le fughe di notizie siano diventate armi potenti in una guerra tutta nuova combattuta a colpi di virus e hackeraggi.
La storia e la trama però si ripetono. Perché, come ricorda Scott Shane: «I leak di oggi non sono così diversi dalle "misure attive" usate dai servizi sovietici, tecniche di soft power comode per mettere in difficoltà il nemico». Attacchi di propaganda, dunque. Fino ad oggi gli Stati Uniti non hanno risposto. Domani, chissà.
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