BANANA IN GABBIA - I PROCESSI SI ACCUMULANO E LA RESA DEI CONTI SI AVVICINA, “MA IL GOVERNO NON CADRÀ”

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Ugo Magri per "La Stampa"

Berlusconi si sente già nei panni del carcerato, con un pigiama a strisce e la catena ai piedi. Concede in proposito perfino delle battute di spirito, come quella ieri mattina durante le votazioni sulla sfiducia ad Alfano: «...e ricordatevi che mi piacciono le arance», ha dato una dritta a qualche senatore amico.

Nell'immediato non rischia di finire dietro le sbarre, nemmeno nel caso in cui tra 10 giorni la Cassazione dovesse confermargli la condanna per i diritti tivù. Nel peggiore dei casi (ancora molto ipotetico), lui passerebbe un anno in clausura, agli arresti domiciliari nella villa di Arcore. In realtà, potrebbe cavarsela pure con un semplice affidamento ai servizi sociali, senza perdere la libertà personale.

Ma poi ci sono altre vicende giudiziarie che incombono come macigni sul capo del Cavaliere. Sotto questo aspetto, venerdì 19 luglio 2013 è stato archiviato da Berlusconi tra le date più infauste della sua carriera di imputato perché, calcisticamente parlando, è come se avesse perso con un secco 3 a 1. L'unica rete messa a segno riguarda una denuncia del gruppo editoriale Repubblica l'Espresso che nel 2009 si era sentito diffamato: in questo caso il Tribunale dei ministri di Genova ha dato ragione a Silvio, seppellendo la pratica.

Magra consolazione, visto che le condanne esemplari di Fede, Mora e Minetti confermano la solidità dell'impianto accusatorio su Ruby e le altre, addirittura ipotizzando nuovi reati a carico dell'ex premier e perfino dei suoi legali. A Napoli il Gup ha respinto senza complimenti la richiesta di trasferire nella Capitale l'inchiesta sulla presunta compravendita di senatori ai tempi del governo Prodi (caso De Gregorio). Se ci sarà processo o meno, la decisione verrà presa a settembre.

E a Bari, sempre ieri, il procuratore aggiunto Drago ha notificato un'altra richiesta di rinvio a giudizio. L'accusa a Berlusconi è in questo caso di essersi comprato, nel tentativo di tenere alta la propria reputazione, le false dichiarazioni ai magistrati di Gianpi Tarantini, l'uomo d'affari che organizzava il viavai di «escort» a Palazzo Grazioli, la D'Addario e tutto il resto. Sommando i reati insieme, e le relative pene edittali, verrebbe fuori una pena complessiva degna di Sing Sing.

Per cui, paradossalmente, il verdetto del 30 luglio è forse quello meno drammatico tra i tanti che attendono il Cavaliere. Nel suo entourage gli umori si alternano. Fino a metà settimana, vi dominava il pessimismo più nero; oggi regna l'incertezza per carenza d'informazioni attendibili.

Le strategie processuali sono riservate in questa fase a un «inner circle» davvero ristretto, composto da Gianni Letta e dai legali. Stop. Ne sono rigorosamente esclusi i politici, compresi quelli più fedeli al Capo, che debbono accontentarsi di sensazioni, di frasi captate al volo, di confidenze sempre molto «double-face».

Pare che Berlusconi non si orienti a chiedere un rinvio della sentenza, in cambio della rinuncia preventiva alla prescrizione (scatterebbe tra poche settimane). Nello stesso tempo, da certi segnali, sembra sempre meno probabile che l'uomo voglia far pagare al Paese il conto di una condanna della Suprema Corte, provocando per ritorsione (contro chi?) una crisi del governo di larghe intese.

Sono indicativi certi ragionamenti sviluppati nel solito capannello di «peones» che si forma ogni qualvolta Berlusconi va in Aula a votare: «Il governo deve andare avanti», ha sostenuto l'ex premier con toni quasi accorati, «perché altrimenti l'Italia chiude per dissesto economico... Ma lo vedete o no che le imprese stanno tutte scappando via, delocalizzano in altri Paesi come l'Albania, e qui da noi tengono solo qualche dipendente? Noi reggeremo», è la promessa di Berlusconi, accompagnata a un dubbio: «Non so invece se il Pd riuscirà a reggere un accordo con noi». Specie se dovesse arrivare, a fine mese, la stangata giudiziaria.

 

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