ARCORE BORDELLO - IL BANANA SI E’ SALVATO NEL PROCESSO RUBY GRAZIE ALLA LEGGE SEVERINO - NON VI FU “MINACCIA ESPLICITA O IMPLICITA” NELLA TELEFONATA DI BERLUSCONI ALLA QUESTURA DI MILANO

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L. Fer. e G. Gua. Per “il Corriere della Sera

 

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Non vi fu «minaccia esplicita o implicita» nella telefonata notturna di Silvio Berlusconi al capo di gabinetto della Questura di Milano dove era in corso l’identificazione della minorenne marocchina Karima «Ruby» El Mahroug, ma semplicemente «una richiesta» che fu Pietro Ostuni a «compiacere» per «timore autoindotto».

 

Certo, anche per la Corte d’Appello che il 18 luglio lo ha assolto cancellando i 7 anni inflitti dal primo grado, «è sicuramente accertato che Berlusconi la notte del 27-28 maggio 2010 abusò della sua qualità di Presidente del Consiglio, simulando un interesse istituzionale al rilascio di Ruby» perché in realtà «aveva un personale concreto interesse» a farla affidare alla consigliera regionale Nicole Minetti per scongiurare «rivelazioni compromettenti, considerato che la ragazza nella residenza di Arcore aveva assistito e partecipato ad atti sessuali a pagamento».

 

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Ma «manca la prova che la telefonata fosse assistita da una minaccia», mentre alla Corte essa appare invece «una segnalazione, una sostanziale “richiesta” che definire “ordine” non basta a trasformare in una prevaricazione costrittiva rilevante penalmente».

 

E se ebbe davvero un «effetto acceleratorio» dell’affidamento di Ruby alla Minetti, «sacrificando l’interesse obiettivo della minore» e «forzando le procedure di prassi», ciò avvenne per l’«accondiscendenza incautamente e frettolosamente accordata» al premier da Ostuni «per timore reverenziale, compiacenza o timore autoindotto, debolezza o desiderio di non sfigurare a fronte della rappresentazione soggettiva, condizionata dall’autorevole accreditamento del premier, di una effettiva possibilità di affidamento di Ruby consona al suo interesse».

 

A detta delle 330 pagine di motivazioni redatte da Ketty Locurto (in collegio con Alberto Puccinelli e il presidente Enrico Tranfa), il Tribunale «da un effetto noto (l’affidamento di Ruby a Minetti) è risalito a una causa (la minaccia implicita di Berlusconi a Ostuni) attraverso l’applicazione di una regola di giudizio che non offre garanzie di verità, ma poggia su una duplice petizione di principio». Invece la presunta vittima «Ostuni ha descritto il colloquio con Berlusconi senza alcun accenno a coartazioni o minacce», e «i 2-3 contatti tra Ostuni e le utenze cellulari della Presidenza del Consiglio» sono «semplice aggiornamento».

Paola Severino Paola Severino

 

Per i giudici d’Appello, pensare di ricavare la minacciosità del premier dall’esordio del suo caposcorta («Dottore, le passo il Presidente del Consiglio, perché c’è un problema») e dal congedo («Va bene, poi ci faccia sapere, ci risentiamo») è «scivoloso e inaffidabile» tra frasi «di equivoca portata» e «anodina espressività».

 

Per l’Appello, né la vecchia concussione né la nuova induzione indebita, spacchettata dalla legge Severino, sono fondabili sulla «falsa rappresentazione della parentela di Ruby con Mubarak e sul surrettizio accreditamento di Minetti» quale consigliere ministeriale, carica inesistente: ciò «poteva semmai avere (e parzialmente ha avuto) l’effetto di indurre in errore l’interlocutore o persuaderlo subdolamente, ma era privo di significato minatorio».

 

NICOLE MINETTI A MIAMI NICOLE MINETTI A MIAMI

Sia perché la balla di Mubarak, se «catalizza l’attenzione di Ostuni», tramonta subito in Questura, e «perde qualsiasi efficacia causale: la circostanza preoccupa fintanto che inganna, cessa di preoccupare quando se ne scopre la falsità». Sia perché Berlusconi non fece nulla che «dall’esterno potesse ingenerare in Ostuni la convinzione di dover obbedire per non subire un male ingiusto o (viceversa in caso di accondiscendenza) per lucrare un qualsiasi vantaggio», quale «l’aspettativa di un beneficio di carriera» che «tuttavia non trova alcun puntello probatorio e rimane mera congettura razionale».

 

Il fatto è, per l’Appello, che «Ostuni, improvvidamente sbilanciatosi ad assicurare a Berlusconi l’affidamento di Ruby a Minetti, fa di tutto per darvi corso, esercitando un’insistente pressione acceleratoria sulla funzionaria Iafrate. E Iafrate con uno sforzo di equilibrismo, cerca una mediazione attraverso un logorante tentativo di persuasione sul pm minorile Fiorillo e l’affidamento formale a Minetti di Ruby», poi però finita da una prostituta.

 

Michelle Conceicao dos Santos Michelle Conceicao dos Santos

Per i giudici «l’imputazione presuppone che Fiorillo avesse autorizzato l’affidamento a Minetti, seppure subordinato all’acquisizione di un documento della minore». Ma si era «in una procedura amministrativa di natura civile» dove Iafrate aveva «apprezzabili margini di autonomia e discrezionalità»; il parere del pm «non era vincolante»; l’affidamento a un consigliere regionale poteva apparire «misura non certo eversiva rispetto alle prassi ordinarie» descritte in aula dal capo di Fiorillo (Frediani) e dalla casistica della difesa.

 

E il pm minorile in una relazione ha scritto «non ricordo di avere autorizzato l’affidamento della minore a Minetti», poi in aula «invece ha riferito di avere un ricordo vivissimo» del suo no. La Corte ritiene di avere «la prova che Ruby partecipasse all’«attività di natura prostitutiva» in 8 serate del bunga bunga ad Arcore, ma non che Berlusconi la sapesse minorenne, perché «dalla «consapevolezza della minore età» di Ruby «in capo a Emilio Fede non può comunque trarsi la prova certa di analoga consapevolezza in Berlusconi». E lo stesso Fede «non aveva alcun interesse a rivelarla a Berlusconi», perché ne «traeva concreto vantaggio».