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wael al sahlee e suo figlio montasse
Patrick Kingsley per “The Guardian”
La sua vita sembra la trama di “The Terminal”, dove Tom Hanks recita la parte di un profugo che resta intrappolato in un aeroporto americano dopo che gli è stato rifiutato il visto. Purtroppo l’esperienza di Wael al-Sahlee è fin troppo vera: per due settimane il palestinese-siriano e suo figlio Montasser, di nove anni, sono rimasti nell’aeroporto di Dubai.
La loro casa è stata il pavimento del “Gate 2”, al terminal 2, sotto le sedie del bancone “Fly Dubai”. «E’ stata un’esperienza orribile» racconta Sahlee, dopo che ieri, finalmente, vari governi e ufficiali delle Nazioni Unite si sono messi d’accordo sulla sua destinazione «Vedevamo la gente che andava al “duty free” e in vacanza, mentre mio figlio era costretto a stare seduto a fare niente. Guardava gli altri bambini divertirsi, invece lui era prigioniero».
i sahlee in aeroporto per due settimane
Wael al-Sahlee è un attivista e scultore cresciuto a Yarmouk, in Siria, campo profughi per famiglie palestinesi scappate nel 1948 dal conflitto arabo-israeliano. Durante la recente guerra civile siriana, Yarmouk è diventata zona di lotta, quindi Sahlee e sua moglie Nisrene hanno cominciato ad usare casa loro come luogo per curare i feriti. Per questo, lui è stato arrestato e i suoi amici sono stati torturati a morte.
Quando lo hanno liberato, nel 2012, è scappato con la famiglia in Giordania. Lì non gli era permesso lavorare, e ha passato due anni in purgatorio. L’unica possibilità per garantirsi un futuro era imbarcarsi dalla Libia per arrivare in Europa, ma i soldi non bastavano per tutti. Il 30 aprile Sahlee ha dovuto lasciare la moglie e le due figlie, per volare con Montasser in Sudan, via Dubai. Dal Sudan sarebbero passati in Libia. Dalla Libia avrebbero raggiunto le coste italiane.
I problemi sono cominciati nella capitale sudanese: qualcosa non andava nel visto e li hanno rimandati a Dubai. Lì né le autorità giordane né turche né gli Emirati li hanno voluti riammettere. Così padre e figlio sono rimasti per due settimane nel limbo del terminal, finché ieri sono stati rispediti in Giordania.
La storia spiega quanto siano vulnerabili i siriani-palestinesi che scappano dalla guerra. I confini con Giordania e Libano sono chiusi e loro non hanno scelta: o restano nei territori in conflitto e controllati dai gruppi armati o scelgono la via del mare. A Sahlee è andata diversamente: gli è toccato il lounge invece del Mediterraneo. Ha potuto sopravvivere grazie alla “Fly Dubai”, che dava a lui e a suo figlio tre pasti al giorno, e alla solidarietà di indiani che davano cioccolata e biscotti a Montasser.
Ma in aeroporto, per loro era impossibile dormire più di quattro ore al giorno, non si cambiavano vestiti da 14 giorni e da altrettanti non si facevano la doccia. Le docce erano per i viaggiatori di business, e a loro due l’accesso è stato negato.
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