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Paolo Biondani e Luca Piana per l'Espresso
à il re del gioco d'azzardo, ma prima di diventare un latitante internazionale, inseguito da un ordine d'arresto per corruzione spiccato dai magistrati milanesi dell'inchiesta Bpm/Atlantis, Francesco Corallo è stato anche un vero principe dei raccomandati. Non capita a tutti gli imprenditori nati a Catania di poter sfoggiare una lusinghiera «lettera di referenze» firmata dal «funzionario responsabile dell'ufficio segreteria della presidenza del tribunale» della stessa città etnea.
Nel documento, datato 31 marzo 2009 e sequestrato dalla Guardia di Finanza nel novembre 2011 a casa di Corallo, la «sottoscritta dott.ssa Silvia Nicosia Leo», «forte di un'amicizia trentennale», mette la mano sul fuoco per Francesco Corallo, scrivendo che «trattasi di persona di ineccepibile condotta morale e professionale», «apprezzato e stimato in tutti i settori», «di ottima indole, generoso e altruista».
La lettera, con tanto di firma, intestazione ufficiale e timbro della "presidenza del tribunale di Catania", non dedica alcun accenno al padre dell'imprenditore, Gaetano Corallo, condannato nel 1999 a sette anni e mezzo di reclusione, per corruzione e associazione per delinquere, nel processo sulla scalata ai casinò manovrata da Nitto Santapaola, il boss di Cosa nostra a Catania.
Sei giorni prima, sull'esempio dei parlamentari Amedeo Laboccetta e Francesco Proietti, entrambi ex di An, anche l'onorevole avvocato Giancarlo Pittelli ha firmato una lettera di referenze a favore di Francesco Corallo. Nel documento datato 25 marzo 2009, scritto in inglese, Pittelli assicura che Corallo, «da me conosciuto personalmente», è «un imprenditore moderno, un cittadino modello» che «si distingue per integrità , onestà e moralità ».
Pittelli, eletto nel 2001 in Calabria, nel 2011 ha lasciato il Pdl per approdare prima al Gruppo Misto e ora nel Grande Sud di Gianfranco Miccichè. In Parlamento si è segnalato per un progetto di legge, definito dall'opposizione "salva-Berlusconi": non fu approvato anche per le critiche della magistratura che lo definì «un'amnistia mascherata», in grado di far saltare decine di migliaia di processi penali.
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