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1 - L'UOMO CHE PEDALAVA PER SALVARE VITE UMANE
Dal "Fatto quotidiano"
C'è un uomo solo che pedala lungo la via per Assisi: è un ciclista, ma stavolta corre per salvare vite umane. "Un cuore in fuga" è il nuovo libro di Oliviero Beha dedicato a Gino Bartali, in libreria dal 13 maggio e presentato ieri al Lingotto. Ne anticipiamo uno stralcio.
Di Oliviero Beha
Erano mesi e mesi che Gino pistava sulle strade toscane e umbre, latore dei documenti contraffatti ma anche di informazioni preziose sugli spostamenti di tedeschi e repubblichini. E quando poteva reperiva cibo per i più deboli, i "poveracci", nella fame dilagante. Tra ciò che era permesso fare, come ad esempio aiutare i più disgraziati magari nell'ambito di iniziative che partivano dalla Diocesi e dai vari ordini religiosi, e ciò che invece non era permesso, dalla "operazione documenti" alle informazioni cruciali per i partigiani e i profughi in genere, lo spartiacque cambiava di volta in volta, secondo le circostanze.
Nel termometro del rischio il mercurio andava a balzi, così da stressare chiunque. Gino compreso, naturalmente, giacché la sua forza morale doveva fare i conti con la sua razionalità che l'adrenalina caricava a mille. Lo dice lui, sempre in quella forma pudica delle sue memorie "reticenti". "Dovunque andassi mi pareva che mi seguissero. Io, che già dormivo poco, smisi completamente di farlo. Rimanevo tutta la notte ad ascoltare lo sfrigolio dello stoppino di una lampada a petrolio".
Lo stress cresceva, cercava di non farlo pesare a nessuno anche perché gli era impossibile motivarlo oltre il comune sentire sotto le bombe sempre più fitte, era preoccupatissimo per la moglie tenuta ermeticamente all'oscuro: Adriana era incinta del secondo figlio, che non sarebbe mai venuto al mondo. La quotidianità si snodava tra la prassi sconvolta dalle granate e l'eccezionalità senza sosta del "lavoro segreto" di Gino.
Che dopo mesi e mesi era stremato, non tanto fisicamente quanto psicologicamente. Per i primi due anni abbondanti di guerra si era sorpreso spesso a pensare che fossero anni non "perduti", alla lettera, ma "negativi" dal punto di vista della sua carriera. Man mano poi che il conflitto montava, aveva visto le cose con altra prospettiva e da quando Monsignor Dalla Costa gli aveva affidato "la" missione ovviamente era cambiato tutto, anche se all'esterno doveva simulare una continuità con il Gino di prima.
Ma dire che non si aspettasse qualche brutta sorpresa, quello no, non era cretino: impazzavano le squadracce fasciste più zelanti addirittura dei nazisti, e un campione di ciclismo e di popolarità che girava con una simile libertà non poteva non dare nell'occhio. Almeno così temeva, e a ragione, nella Firenze anche delle spie che in quell'estate del '44 si avviava all'ultimo atto dell'occupazione tedesca.
Fu allora, in un giorno afosissimo di luglio, che le cose precipitarono e arrivò appunto "il momento pessimo" di Gino, neppure troppo inaspettato, come detto. Il paradosso, intrigante nel raccontarlo ma affilato nel viverlo, fu che il Bartali postino non c'entrava moltissimo con il motivo per cui venne arrestato, interrogato e programmato per un'esecuzione. La colpa, se vogliamo chiamarla così, fu sempre della "posta" ma riferita piuttosto al Papa o alle alte sfere del Vaticano.
Una colpa "burocratica" che rischiò di essere letale per Gino. Adesso se ne parlerebbe come di un eroe caduto in guerra per mano delle spie fasciste e dei criminali repubblichini.
Riscrivendo la storia con i "se", probabilmente Gino morto in quella circostanza godrebbe oggi di assai maggiore popolarità di quella che invece gli è toccata alla memoria: chiedete in giro, alle ultime generazioni ma non solo a loro, notizie di Gino Bartali. Ammesso che se lo ricordino vi diranno riduttivamente che era il rivale di Fausto Coppi, anche se per parecchi orecchianti "meno campione del campionissimo"...
Un torto clamoroso che si spiega anche con il mito di Fausto sparito all'improvviso dall'immaginario collettivo a quarant'anni quando ancora doveva chiudere la carriera, e proprio in una squadra diretta da Bartali... Meglio morire con la testa bionda... chi muore giovane è caro agli dèi... e insomma il catalogo poetico è questo e ancora una volta toglie tantissimo all'eroe silenzioso che come vedremo detestava pienamente il sostantivo.
La "colpa" del Vaticano, che rischiò di far giustiziare Gino, ancora più paradossalmente per un postino speciale come lui fu appunto di genere "postale": ma sì... Per consuetudine diplomatica da Roma arrivavano lettere di ringraziamento nei confronti di chi si adoperava cristianamente per alleviare le sofferenze in quel tempo tragico. E Bartali era notoriamente uno di quelli, anche se sul versante diciamo così lecito, permesso, non passibile di conseguenze.
Quindi fu destinatario di una di quelle lettere. Intercettate, e dalla genia peggiore in circolazione a Firenze e in Toscana in quella fase turpe della guerra. Lo chiamavano "l'Himmler italiano", e lui godeva di quel soprannome perché tale avrebbe voluto essere. Girava bardato fino all'inverosimile di tutti gli orpelli "gotici" del comando, "noir" d'anima e di aspetto, era o si faceva passare per Maggiore, era sempre circondato da un drappello di fedelissimi che facevano a gara nel dimostrarsi più feroci del capo, il suo nome era Mario Carità laddove il "no-men omen" del destino diventava "disomen" volgendosiquasi sempre tragicamente nel suo contrario.
In quel periodo di transizione tra il '43 e il '44, prima dell'arrivo degli Alleati, in cui l'odio e la paura si attizzavano l'un l'altra Carità faceva praticamente il bello e il cattivo tempo, con un punto d'onore nel terrorizzare le persone e uno zelo nell'interrogarle, torturarle e spesso farle uccidere che seminava ovunque la paura.. ...
2 - L'ULTIMO GINO D'ITALIA
Estratto da "Un cuore in fuga", il nuovo libro di Oliviero Beha dedicato a Gino Bartali
Vedere un uomo di 77 anni che d'improvviso sale in piedi su un grande tavolo rotondo e tirandosi su i pantaloni scopre i polpacci, non è esattamente uno spettacolo usuale.
"Ecco, guardate qua, non mi venite a dire più che il ciclismo fa venire le gambe grosse come pensate voi...", fa Gino rivolto soprattutto alle giornaliste che insieme ai colleghi affollano l'incontro, una delle quali l'aveva provocato con quel genere di domanda. Non nuova, per carità , ma sempre meglio di quel "tormentone atroce e ottuso della borraccia con Coppi, che poi non era neppure una borraccia, ma una bottiglietta...", come non si sarebbe mai stancato di precisare.
"Li vedete?", indicando i polpacci. "Sono o non sono affusolati ? Sono depilati ? Sì, certo, per i continui massaggi che mi hanno fatto da corridore per tanti anni, venticinque se ci mettete dentro anche la guerra...".
L'atmosfera si è fatta festosa, ma grazie soprattutto a lui, alla sua vociona, alla sua serenità interiore, al temperamento che viene fuori in due ore di conferenza stampa consuntiva dopo due settimane di "Striscia la notizia", nel gennaio del '92.
Perché in realtà buona parte della stampa e in special modo i recensori televisivi di professione in quel periodo l'hanno fatto a pezzi: che c'entra Bartali in un programma di satira, condotto (si fa per dire...) insieme a un comico navigato e oggi sommerso come Sergio Vastano?
Cinismo da parte di Antonio Ricci, oggi trentennale autore di una trasmissione di successo dalla longevità imparagonabile con qualunque altra? Stonatura del campione imbolsito che si è prestato a ridere e a far ridere di sé? Che cos'è diventato dunque Gino, una sua propria caricatura? Perché lo fa, uno come Bartali?
Domanda che allude magari implicitamente al Dioscuro prematuramente assunto sull'Olimpo di cui Gino è ancora vissuto come l'ombra: Fausto non l'avrebbe mai fatto...oppure sì..."Sai", avrebbe detto significativamente Bartali a Ricci, "io sono sereno: malgrado loro", indicando i giornalisti cui aveva dedicato nell'occasione dei polpacci esibiti uno show sicuramente più godibile delle sue performances in tv. "A loro servirei morto, ma invece sono vivo, e devo vivere, e quindi mi diverto...".
Nessuno di coloro che lo hanno frequentato in quei giorni se lo potrà mai dimenticare, tra una battuta sui 77 anni ("le gambe delle donne" secondo la simbologia popolare e i suoi dintorni di magia candida), un racconto di corsa, l'affermazione di sé campione "mi ha rovinato la guerra, ma ero più forte di Fausto..." e un ventaglio di altre espressioni, colorite da una fiorentinità assoluta ed esplosiva. Lo descrivono vivissimo, con la moglie discreta ma sempre a fianco che reggeva a due mani la "borsetta", come una volta, in altre epoche, contento di parlare o meglio di emettere suoni rauchi con la voce ridotta a un'idea.
"Eppure faccio tante inalazioni di Aerosol", diceva scuotendo la testa e sorridendo. In trasmissione sognava ad occhi aperti: era rapito dal contesto, che lo affascinava quasi fossero tutti cartoni animati, lui compreso.
"Era uno spettatore molto coinvolto, decisamente non un conduttore. Rideva davvero ai filmati, stava vivendo non lavorando", lo ricorda il "cinico" Ricci con calore.
"Un uomo fantastico, umanamente meraviglioso, non potevi non volergli bene, un mito per noi, restava ore qui in studio indipendentemente dalle prove e dalla messa in onda, e arrivavano da tutta Mediaset davvero come fosse un Padre Pio, per vederlo e ascoltarlo anche a distanza".
"Sulle prime pareva schivo, quasi protetto nel suo impermeabile chiaro e negli sguardi continui d'intesa con la moglie...poi si apriva ed era davvero straordinario".
Straordinario ma reticente sulla sua straordinarietà di postino degli ebrei. Vaghi accenni, sì, a richiesta, poichè sulla vicenda di Assisi la finestra mediatica si era già spalancata negli anni suggerendo comunque delle domande, ma con una ritrosia che Ricci dipinge così.
"Voleva dare l'impressione che tutto ciò fosse stato normale almeno per un cattolico, un cristiano come lui. Non era diverso, diceva, e soprattutto non voleva apparirlo. Sapeva che imprese del genere compiute da Gino Bartali sarebbero state comunque le imprese di Gino Bartali, ed era ciò che non voleva. Voleva che restasse di lui il ricordo pubblico del campione".
Contribuisce parecchio a rendere ancora più nitida la figura di Gino attraverso le sue molte vite il movente autentico per cui in realtà Ricci gli aveva proposto quella "comparsata" nel Tg satirico, consapevole dei rischi cui tutti sarebbero andati incontro sbattendo contro il muro della sospetta strumentalizzazione. Speculare sul "vecchio" Gino? Macché...
Ricci aveva saputo da un conoscente comune che quello non era affatto il migliore dei periodi di Bartali, né sul piano economico né su quello dell'impatto sull'opinione pubblica.
L'empatia del campione si stava sfarinando progressivamente, la sua immagine stava ingiallendo, la sagoma mitica di Coppi si stava divorando almeno in parte la sua ombra. Chi lo riconosceva più tra le nuove generazioni ? Chi ne aveva memoria?
"Sai chi è mio nonno ? Gino Bartali...", non sortiva l'effetto di una volta...Né aveva da parte "tesoretti" speciali dopo tutto quello che aveva guadagnato e il molto che aveva investito con leggerezza: ad esempio è ancora vivo, per gli amici e i loro figli, il ricordo di quel negozio messo su a Firenze negli anni '60 anche per dar lavoro alla cerchia più stretta, in cui si vendeva di tutto, un "Emporio Bartali" finito malissimo perché coincidente con la prima fase della vendita a rate, nella società italiana.
Nessuno, da Gino in giù, "essendo tutta gente di sport...", seppe mai farsi pagare in quella forma, inteneriti com'erano dalle indigenze varie. Fallì. No, indubbiamente non gli sembrava cristiano il mestiere pur legittimo del commerciante esattore.
Sarebbero bastate queste contrarietà a farlo "forare" nella vita? Naturalmente no. Ci volle una caduta pazzesca, peggio di quella del '37, nel torrente Colau, sulle Alpi francesi...Le testimonianze su questa "caduta" pesantissima, un dramma cupo, alla Miller, sono rare ma concomitanti, tali da offrire un quadro chiaro in una cornice più indistinta.
Bartali, non si sa bene consigliato da chi, a un certo punto affidò una parte rilevante dei suoi risparmi, una cifra che non volle mai rivelare, allo IOR, l'Istituto per le Opere di Religione ossia la banca del Vaticano. Il Presidente dell'istituto all'epoca (e per quasi vent'anni) era l'arcivescovo statunitense Paul Casimir Marcinkus, quello secondo cui "non si può governare la Chiesa con le Ave Maria...".
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