DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Maurizio Belpietro per “Libero quotidiano”
I lettori sanno che del programma di Beppe Grillo condividiamo poco o nulla. Tuttavia, nonostante lo scandalo suscitato fra i benpensanti del Pd, i quali minacciano addirittura di fare una legge per impedirla, c'è un' idea dei pentastellati che non ci dispiace affatto ed è quella di multare i voltagabbana.
A Roma come a Torino, in vista delle elezioni, i grillini vorrebbero introdurre una sanzione piuttosto salata per impedire i cambi di casacca. Chiunque una volta eletto e accettato il programma dei Movimento decidesse di infischiarsene o di passare ad altro gruppo, non rispettando le direttive di partito, dovrebbe pagare 150mila euro.
Apriti o cielo. Nel Pd la proposta ha subito suscitato enorme scandalo, tanto da indurre il vicesegretario operativo del partito, Lorenzo Guerini, a proporre una legge che vieti di multare i traditori e garantisca la democrazia nei movimenti politici. La reazione dei vertici del Partito democratico è comprensibile.
Fosse stata in vigore in tutti i partiti una multa simile a quella che i seguaci di Grillo vorrebbero introdurre, il governo Renzi non sarebbe mai nato e molto probabilmente non avrebbe mai visto la luce neppure quello sciagurato e filo tedesco di Mario Monti. Ovvio.
Dovendo mettere mano al portafogli, le centinaia di parlamentari che dall' inizio della legislatura sono passate da un gruppo di centrodestra a uno che appoggia il centrosinistra si sarebbero guardate bene dal farlo, rispettando il volere degli elettori. Purtroppo, non essendoci vincolo di mandato che incardini un onorevole nel gruppo che gli ha regalato lo scranno, e non esistendo neppure una penale da pagare per spostarsi da un banco all' altro, Montecitorio e Palazzo Madama hanno le porte girevoli.
Uno entra con il Pdl ed esce con l'Ncd, un altro si candida con Scelta Civica e si iscrive subito dopo al Pd, una sta con Grillo ma una volta conquistato il Senato abbraccia Verdini. In totale dal 2013 ad oggi sono quasi 350 gli onorevoli che hanno fatto il salto della quaglia, ossia uno ogni tre.
Tuttavia, per Guerini il problema non è il cambio di casacca, ossia la presa per i fondelli di gente che si è candidata sotto una bandiera e subito dopo si è affrettata a sventolarne un'altra. Lo scandalo è che per impedire l'andirivieni dal suo partito ad un altro, il Movimento Cinque Stelle voglia introdurre una multa. Secondo il Pd la democrazia sarebbe a rischio, perché l'onorevole non avrebbe più possibilità di scelta ma sarebbe costretto ad adeguarsi alla linea dettata dai vertici.
Poco importa al vicesegretario del Partito democratico che lasciando le cose come stanno ad essere a rischio sia il concetto stesso di democrazia, ridotta a una burla da gente che si fa beffe di chiunque l'abbia votata appena dopo aver conquistato la poltrona. Nessuna indignazione suscita in Guerini il fatto che all'indomani della proclamazione ottenuta in nome di Grillo o di Berlusconi qualche perfetto sconosciuto abbia deciso di trasferirsi armi e bagagli a casa di Renzi.
Diciamoci la verità: gran parte degli eletti con il Movimento Cinque stelle prima di approdare a Montecitorio o a Palazzo Madama non avevano né arte né parte. Alcuni erano disoccupati, altri, nonostante una professione l'avessero, erano in realtà precari, altri ancora avevano piccole e non fiorenti attività. Se non ci fosse stato un comico a dar loro la possibilità di candidarsi con pochi clic, nessun grillino sarebbe mai riuscito a farsi eleggere.
Se oggi siedono in Parlamento e hanno uno stipendio e un'occupazione, seppure a termine, lo devono dunque a Beppe Grillo. E perciò, se decidono di cambiare idea e di non seguire più la linea del partito, ci pare giusto che paghino pegno. Così facendo si trasformano i partiti in una caserma, replicano i Guerini di turno, il cui governo campa di voltagabbana. Eppure, per evitare tutto ciò, basterebbe introdurre nella politica italiana una parolina semplice semplice: dimissioni. Un deputato o un consigliere non sono d'accordo con la linea imposta dal partito?
Nessuno li costringe a piegare il capo. È sufficiente che raccolgano le firme per chiedere la conta e facciano mettere ai voti la decisione del segretario. Reclamino un congresso o una verifica per dettare la nuova linea. E se non hanno i numeri e neppure vogliono chinare la testa di fronte alle imposizioni dettate dall' alto, si dimettano. Secondo voi, dei 350 che invocando i casi di coscienza hanno cambiato bandiera da inizio legislatura, quanti mollerebbero la poltrona? Noi non abbiamo dubbi: nessuno.
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