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Marco Alfieri per "la Stampa"
Era a Genova, nel «caveau» di una banca, un pezzo del tesoretto della Lega Nord. L'ex tesoriere Francesco Belsito, al centro della bufera giudiziaria sui rimborsi elettorali del Carroccio, ieri ha restituito al partito 11 diamanti e 10 lingotti d'oro dal peso di 5 chili, caricandoli su un Audi A6 usata in passato anche da Renzo Bossi. La consegna è avvenuta in via Bellerio, attraverso il suo avvocato, Paolo Scovassi.
Oro e diamanti dal valore complessivo di 300mila euro, acquistati da Belsito a dicembre in forma di investimenti per la Lega Nord, sono arrivati in sede da Genova affidati ad un autista del Carroccio, Paolo Cesati, che al momento della ricezione della vettura con i preziosi sigillati nel baule, ha firmato un verbale davanti allo stesso ex tesoriere. Chiaro l'obbiettivo di Belsito, consigliato da Scovassi: farsi manlevare dal partito, restituendo il frutto di questi investimenti. Anche se resta da capire il senso dell'operazione: distrazione di fondi o investimento pianificato dal movimento?
Secondo gli inquirenti, che stanno vagliando carte sequestrate e documentazione contabile su conti correnti aperti dalla Lega in 8 banche italiane, mancherebbero ancora all'appello diamanti per altrettanti 300 mila euro (il tesoretto stimato è di 600mila euro), ossia la parte di preziosi acquistati con soldi del movimento da Rosi Mauro e Piergiorgio Stiffoni.
Gli inquirenti avrebbero trovato la firma dei due politici sugli ordini di acquisto. Ieri il senatore trevigiano ha mandato il suo avvocato in Procura a Milano per una richiesta di convocazione; anche la vice presidente di Palazzo Madama, passata dopo l'espulsione al gruppo misto, continua a dichiararsi estranea ai fatti.
La cosa però non convince i Pm, che si domandano dove siano finiti i preziosi; e se si tratti di investimenti personali con soldi della Lega o di appropriazione indebita. Sempre riguardo alla Mauro, mancherebbe il grosso della documentazione relativa al SinPa. Dalla ricostruzione della Procura, il sindacato padano incassava 2-300 mila euro l'anno dai rimborsi elettorali. Ma dov'è la traccia contabile?
Nel frattempo, in casa Lega è caduta l'ennesima testa. Ieri il presidente del Consiglio regionale lombardo, Davide Boni, indagato per presunte tangenti, si è dimesso dalla sua carica istituzionale. Il pressing interno al partito si era fatto serrato. Tenerlo in carica mentre si facevano dimettere i «cerchisti» Renzo Bossi e Monica Rizzi, suonava troppo contraddittorio. Di qui la decisione, spinta da Maroni, del passo indietro.
«Nessuno me l'ha mai chiesto, ma in funzione di quanto ha fatto il mio segretario federale, Umberto Bossi, faccio anch'io un passo indietro per agevolare una serena condizione politica per il movimento», sono le prime parole di Boni dimissionario. «La mia situazione giudiziaria non è cambiata rispetto a 5 settimane fa. Sono molto sereno e sono estraneo ai fatti». Dunque un «bisogno personale» per togliere la famiglia dai riflettori, ma anche il «dovere» di uomo di partito.
Per l'ex ministro degli Interni si tratta di un «gesto apprezzabile». «Voglio che in Regione si affermi il nostro nuovo principio: largo ai giovani» (per la successione circolano i nomi di Orsatti, Romeo o Cecchetti). Di certo in Lega con la pulizia «epurazione» per i nemici interni di Maroni -, «continueremo fino a che non sarà finita».
Quanto al futuro, conclude l'ex ministro che si dice «non interessato alla segreteria» del partito, forse per non bruciarsi, «una persona così carismatica, così potente, come è stato Bossi non c'è. Quindi bisognerà pensare a un sistema di governo della Lega diverso: facendo gioco di squadra».
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