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Enrico Del Mercato per “la Repubblica” - Estratti
Beppe Sala pronuncia la frase a mezza voce mentre seduto alla scrivania del suo ufficio a Palazzo Marino, illuminato da un insolito sole di dicembre, legge le notizie di agenzia sul laptop: «Mi pare che il campo largo proprio non riesca a funzionare». Ma non è voce dal sen fuggita quella che il sindaco di Milano fa calare sul dibattito, improvvisamente riaccesosi, sul futuro dell’alleanza di centro sinistra e sulla necessità che, al suo interno, si trovi uno spazio per i moderati.
Sindaco, dunque il campo largo non esiste più?
«Guardi, in questo momento che esista o no, non è certamente in condizione di vincere e di governare il Paese. Lo dico non per una sensazione che ho, ma analizzando cosa succede quando gli italiani vanno a votare. Vedo che i Cinquestelle dicono marciamo divisi e poi uniamoci in alleanza solo al momento del voto per le politiche: mi verrebbe voglia, mettendomi nei panni di Elly Schlein di dire va bene.
Il problema è che in Italia si vota sempre, dunque bisognerebbe accettare che da oggi fino al 2027 il campo largo non c’è neppure nelle regioni e nelle grandi città. Può essere un rischio, ma vale la pena rifletterci».
Una riflessione oppure un auspicio da parte sua visto che, per esempio, i 5 stelle chiedono al Pd di non votare il cosiddetto Salva-Milano, la norma che depotenzierebbe le inchieste sull’urbanistica avviate dalla procura e che coinvolgono anche dirigenti del comune di Milano?
«Ecco, appunto il solito aut aut che caratterizza i cinquestelle di Conte. Premesso che quello che dice il leader del Movimento mi interessa il giusto, la vera questione è capire come si comporterà il Pd. Ma al di là di questa questione bisogna sedersi e provare a fare un programma comune. Se ce la fai, bene, ma se non ce la fai credo sia logico dire: ognuno per sé. Ecco, non ho visto un tentativo serio di mettere insieme un programma comune. Certo, non basta una foto in cui si sta tutti insieme per far credere agli italiani che sia vero».
(...)
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E cosa servirebbe per invertire quella che lei ritiene essere la tendenza e, dunque, far sì che i moderati possano riconoscersi nel centrosinistra?
«Finora si è semplificato attribuendo al cattivo carattere di Carlo Calenda il fatto che non si sia trovato spazio per i liberal democratici. Ecco, il mio pessimismo nasce dal fatto che se non ci è riuscito Calenda che ci ha messo energia e i fondi che è riuscito a raccogliere, non vedo chi e come possa riuscirci».
Vuole provarci lei? Del resto in un passato non lontano era apparso anche come possibile federatore del campo del centrosinistra.
«In questo momento io ho il dovere di portare a termine il lavoro per il aule sono stato eletto. Posto che per il parlamento si voterà a maggio del 2027 oggi mancano due anni e mezzo. Non mi sogno neppure di sottrarre tempo a Milano per occuparmi operativamente di tutto ciò.
Non dico che non potrà interessarmi, ma intanto bisogna cercare i compagni di viaggio. Guardi, io conosco Elly Schlein meglio di tanti altri e Schlein sa che è interesse del Pd favorire la nascita di quest’area liberal democratica. Ma il Pd ha bisogno di fare passi in avanti che garantiscano a quest’area, una volta nata, di non essere solo un cespuglietto di una sinistra molto spostata a sinistra».
Però Giorgia Meloni ha vinto perché ha detto: io sono di destra, molto di destra.
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«Vero. Ma al contempo Meloni dà uno spazio significativo a Forza Italia e favorisce la crescita del partito Noi Moderati di Maurizio Lupi. E guardi che a destra, fin dai tempi di Berlusconi (ed è un merito che i suoi non possono non riconoscergli) funziona così: si sta insieme senza sottolineare le differenze, per vincere. Poi, quando si vince, si gestiscono le differenze. Questa regola è sconosciuta a sinistra ».
Tornando ai possibili federatori del centro con la sinistra: adesso spunta il nome del direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini.
«Non continuiamo a buttare nel tritacarne mediatico le persone. Ruffini è bravo? Ruffini è bravissimo. Ruffini è conosciuto? Lo conoscono in pochissimi. È una persona di grandissimo valore, ma pensare che possa avere la forza per fare il leader di quest’area significa volergli male. Torno a dire: la questione non è trovare il federatore, la questione è trovare i compagni di viaggio, le persone che credono in questi valori e che possano scambiarsi la guida in una forma di governance che ricordi quella della Dc. I partiti personali, non credo attraggano più nessuno».
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