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Francesca Schianchi per “la Stampa”
pierluigi bersani silvia velo roberto speranza
«Lunedì prossimo hanno fissato la Direzione alle 21: parleremo al popolo della notte», scherza amaro l’ex capogruppo Roberto Speranza. A quattro giorni dalle Regionali, l’applicazione della legge Severino al neopresidente campano De Luca non è l’unico nodo da affrontare in casa Pd.
A Napoli, il governatore promette una regione «casa di vetro» e lavora alla sua giunta, sicuro che avrà il tempo di nominarla prima che intervenga la sospensione («anche Cantone ha chiarito che non ci sarà alcun vuoto di potere», sottolinea il deputato Fulvio Bonavitacola, vicino a De Luca e in pole position per assumere l’incarico di suo vice).
A Roma, in un clima così teso che volano querele tra compagni di partito nel gelo dei più alti dirigenti, si aspetta di capire, in Direzione, quale sia l’analisi del voto di Renzi e come intenda «ristrutturare» il partito, a partire dal nuovo capogruppo alla Camera (accreditata l’ipotesi Guerini, che potrebbe essere sostituito come vicesegretario da Rosato).
Per prepararsi, la minoranza interna si organizza: ieri, al ristorante «Archimede», l’ex segretario Bersani e Speranza si sono visti con alcuni senatori di Area riformista, Miguel Gotor, Federico Fornaro, Carlo Pegorer. Argomento: il ddl sulla scuola, il cui iter è ripreso a Palazzo Madama e che Renzi, ha ripetuto anche ieri al capogruppo Zanda, vorrebbe portare a casa velocemente.
Ma che, convengono i commensali, deve cambiare su poteri dei presidi, finanziamenti alle paritarie superiori e assunzione dei precari. «Vogliamo capire se Renzi si sia reso conto che la percezione di una riforma contro il mondo della scuola ci ha fatto pagare un prezzo elettorale», valuta Speranza, «e quindi voglia fare aperture. O se voglia mettere la testa sotto la sabbia».
MATTEO RENZI A BERSAGLIO MOBILE
Come sempre, particolarmente delicata diventa la dialettica interna al Pd quando si verifica al Senato, lì dove i numeri del governo sono risicati. Se l’annuncio di ieri di Mario Mauro dell’uscita dei Popolari per l’Italia dalla maggioranza non preoccupa (a Palazzo Madama sono lui e Di Maggio, che da tempo nel governo non consideravano più come voti a favore, mentre la sottosegretaria D’Onghia non abbandona il governo), è vero invece che eventuali insubordinazioni di senatori dem potrebbero creare problemi.
Non a caso, Zanda ricorda che i senatori Pd sono il cardine «che garantisce la continuità del governo e della legislatura», da assicurare «senza alcuna riserva». La discussione è fissata a lunedì, «e non sia l’ennesima occasione di propaganda in streaming», attacca Fassina. Già il fatto che sia convocata alle nove di sera fa temere una discussione molto limitata.
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