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Goffredo De Marchis per "La Repubblica"
Rapporti morti e sepolti. Un altro giorno di incomunicabilità , nonostante la tensione esplosiva nel bel mezzo di una situazione buia. Da giorni Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani evitano contatti. Eppure il segretario del Pd avrebbe qualcosa da chiedere al sindaco.
La domanda suona più o meno così: «Al di là delle critiche e dei dubbi, stai mettendo in piedi un sabotaggio? Vuoi che vada a sbattere contro il muro sul governo con Grillo?». à un interrogativo fondamentale perché nel Pd le uscite di Renzi stanno seminando il panico e indebolendo il progetto, miracolistico, di coinvolgere i 5 stelle. Come succede da molto tempo in qua è toccato al governatore dell'Emilia Romagna Vasco Errani parlare con il primo cittadino e girargli il quesito.
«No, non voglio fottere Pier Luigi. Ma sono libero di dire quello che penso», è stata la risposta di Renzi. Il filo è sottilissimo. Ci si può aggrappare, con qualche timore (giustificato?) sulla sincerità delle garanzie, per continuare il lavoro intorno agli 8 punti, alle presidenze delle Camere, alla formazione dell'esecutivo. E per sperare in una moratoria da parte del sindaco che duri almeno fino ai giorni delle consultazioni. La telefonata tra Errani e Renzi va letta in questa chiave.
Ma a nessuno sfugge l'improvvisa fretta del sindaco di appiccare l'incendio quando «gli basterebbe attendere una settimana, dieci giorni, mica anni, per capire come va a finire e lanciare la sua corsa». A Largo del Nazareno, i bersaniani non capiscono «cosa sia scattato a Matteo», non comprendono «il senso della battaglia in questo momento ».
Con una buona dose di realismo un dirigente ammette: «Siamo confusi noi ed è confuso anche lui». La risposta più gettonata a questi interrogativi è: «Cerca di sfasciare tutto e di mettersi subito al centro dei giochi». Come Renzi veda il futuro lo ha spiegato con franchezza ai suoi interlocutori. «Penso che alla fine si andrà a un governo tecnico. Durerà poco, non più di un anno. Io mi preparo a correre la prossima volta». Non è solo una previsione, chiaramente. à molto di più. à un auspicio, è la porta girevole che cambia il destino in pochi mesi: dalla sconfitta delle primarie
alla rivincita.
Evitando Bersani, il rottamatore, in questi giorni, ha parlato spesso con Dario Franceschini, il favorito per la presidenza di Montecitorio, condividendo analisi e pronostici. Ha registrato le aperture alla sua leadership di Enrico Letta e Francesco Boccia. Controlla la pattuglia di 51 renziani in Parlamento che ieri, all'assemblea degli eletti, si è tenuta visibilmente in disparte, soprattutto le new entry, quelle scelte di persona dal sindaco.
Il tentativo di Bersani si sta sbriciolando giorno dopo giorno anche nel partito, tra dubbi, perplessità e un pizzico di orgoglio contro «i grillini che ci sputano in faccia». Perfino Lapo Pistelli, del quale Renzi è stato l'assistente parlamentare in un'altra epoca prima di batterlo nella sfida per Palazzo Vecchio, ha chiarito i suoi dubbi sul Movimento invitan-do
il Pd «a non dare le presidenze delle Camere a quelli lì».
Insomma, Renzi può diventare centrale nel dopo Bersani fin da subito, entrando nella cabina di regia di un governo di scopo a tempo. Ma perché tanta fretta di attaccare frontalmente il segretario?
Renzi aveva ricucito un rapporto con il "popolo" del Pd mettendosi a disposizione di «Pierluigi» durante la campagna elettorale, accettando il risultato delle primarie, offrendo la sua collaborazione incondizionata al candidato premier. Sembrava al tempo stesso una prova di generosità , di buona politica e una mossa strategica per gli anni a venire: l'offerta di un federatore, di un pacificatore per il nuovo Pd. Poi sono arrivate le interviste, le smentite, la "fuga" dalla direzione, gli attacchi all'apparato, la rottura con la partecipazione a Che tempo che fa.
Da sabato scorso, a Largo del Nazareno è spuntata la parola «sabotaggio», è ripartita una caccia alle streghe. Il tutto in un Pd che già vive un clima di assedio. «La fretta è una cattiva consigliera», si limita a dire Enrico Letta. Ma il sindaco ha annusato la chiusura a riccio del corpaccione democratico, capace ancora una volta di escluderlo o di stritolarlo. Così ha deciso di rispolverare il linguaggio della rottamazione. Perché quando anche Massimo D'Alema osserva «dopo Bersani c'è solo Renzi» non fa un'investitura. Semmai segnala un pericolo, lancia l'allarme rosso.
2- QUERELA DI SERRA, INDAGATO IL LEADER PD: "DIFFAMATORIO DARMI DEL BANDITO"
(da.c. per "La Repubblica")
Lo scontro tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi nei giorni delle primarie, ora ha uno strascico giudiziario. Il segretario del Pd, infatti, è indagato per diffamazione: è un atto dovuto dopo la denuncia sporta da Davide Serra, il finanziere di Algebris che ha sostenuto il sindaco di Firenze nella competizione per la leadership del centrosinistra. Serra si è sentito offeso per il riferimento, fatto da Bersani, a «una certa finanza di banditi tra virgolette» aggiungendo che «chi ha base alle Cayman non potrebbe dare consigli».
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