DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
1 – "L' USCITA DI LONDRA DALLA UE E LA FINE DEL MANDATO DI MERKEL, SPINGERANNO BIDEN A CERCARE UN GRUPPO PIÙ AMPIO DI EUROPEI PER DEFINIRE LE POLITICHE COMUNI. IN QUESTO QUADRO L' ITALIA..."
Estratto dell’intervista di Paolo Mastrolilli a Charles Kupchan, pubblicata da “La Stampa”
(…) Come sarà il rapporto con l' Europa?
«La relazione ritorna, e l' affidamento tra le due sponde dell' Atlantico diventerà subito evidente. Trump non ha fatto danni irreparabili, ma servirà lavoro duro per garantire che Usa e alleati siano sulla stessa pagina. I temi più difficili saranno Cina, governance digitale, 5g e Huawei. Biden non è felice dell' accordo Ue-Cina sugli investimenti, vuole una posizione unitaria verso Pechino».
Cosa può fare l' Italia?
«L' uscita di Londra dalla Ue, e la fine del mandato di Merkel, spingeranno Biden a cercare un gruppo più ampio di europei per definire le politiche comuni. In questo quadro l' Italia può giocare un ruolo più importante. Una chiave è il progresso nella difesa. L' Europa sta avendo la conversazione giusta. Non l' autonomia strategica, perché è controversa, ma più diventerà capace di sostenere le responsabilità geopolitiche, e più gli Usa guarderanno a lei come un partner utile».
renzi mejo dello sciamano di washington
2 – CHE COSA CAMBIERÀ BIDEN NEI RAPPORTI USA CON UE, CINA E RUSSIA
Estratto dell’articolo di Stefano Silvestri per “Affari Internazionali” pubblicato da www.startmag.it
Il discorso di Biden ha ricordato a molti quello del suo predecessore Abramo Lincoln, che del resto il nuovo commander-in-chief ha citato: un presidente che visse la più profonda e drammatica crisi interna americana, la guerra civile tra Unionisti e Confederati.
Oggi, le divisioni, checché ne possano pensare Trump e una minoranza di estremisti facinorosi, non sono fortunatamente così profonde.
Il sistema democratico americano è stato salvato in primo luogo da tutte quelle amministrazioni statali, in mano ad esponenti politici repubblicani, che si sono rifiutate di subire le pressioni di Trump volte a ribaltare il responso delle urne.
Tuttavia, come già Lincoln, anche Biden ha sentito la necessità di ricostruire l’unità del Paese per affrontare le gravissime sfide che ha difronte, prima di tutto la pandemia, che ha già provocato più morti americani di quanti ne provocò la Seconda Guerra Mondiale.
Una inaugurazione drammatica, quindi, anche se aperta alla speranza di una democrazia che è riuscita a superare e domare il ciclone provocato da Trump e dai suoi.
Ma la situazione interna americana resta critica e questo condizionerà inevitabilmente le politiche della nuova amministrazione. Mai come oggi le priorità americane saranno di necessità di natura interna, sia per la lotta alla pandemia sia per la ricomposizione di un largo consenso nazionale, sia infine per la ripresa economica.
Biden potrebbe essere il miglior presidente possibile per riannodare il filo delle grandi politiche multilaterali, per avviare un dialogo positivo con gli alleati e per condurre una politica di controllo e riduzione dei conflitti. Tuttavia, gli Stati Uniti oggi non hanno né il tempo né le risorse per impegnarsi a fondo nella costruzione di nuovi equilibri internazionali attorno alla loro leadership.
giuseppe conte donald trump by osho
Molti esponenti della nuova amministrazione hanno sottolineato la loro volontà di rilanciare una lega delle democrazie di fronte al rafforzarsi e all’espandersi dei regimi totalitari, Cina e Russia in testa, ma non solo.
Allo stesso tempo, però, essi non sembrano intenzionati ad assumere nuovi impegni in Medio Oriente, in Afghanistan e nelle altre aree di conflitto.
Saranno certo molto più disponibili ad un dialogo costruttivo con i loro alleati, ma saranno anche molto riluttanti a compensare le loro debolezze con un maggiore impegno americano.
Al contrario, chiederanno agli alleati un impegno più importante, che alleggerisca il fardello della leadership internazionale e consenta agli Usa di concentrare maggiori risorse al proprio interno.
Il dialogo tra Europa e Stati Uniti sarà più facile che con Trump, questo è evidente, ma le problematiche da affrontare resteranno difficili.
Il rapporto con la Cina, in primo luogo, che già vede posizioni diverse all’interno dell’Unione europea, potrebbe assumere una rilevanza particolare se l’Europa non chiarirà meglio quali saranno i limiti politici e strategici del suo rapporto economico e commerciale con il gigante asiatico.
In un altro campo, benché ci siano molte similitudini tra i democratici americani e gli europei sulla necessità di regolamentare il governo del web e il comportamento dei suoi giganti industriali, il diavolo come al solito è nei dettagli, che potrebbero rivelarsi molto difficili da concordare. Ancora più complessa è la questione di una tassazione delle grandi compagnie dell’online.
Potrebbe rivelarsi meno problematica la questione di come gestire le relazioni con la Russia, ma la necessità di compensare il vuoto lasciato dal parziale ritiro americano dal Medio Oriente peserà sui rapporti transatlantici, riportando in primo piano la questione di un maggiore impegno e maggiori spese europee per la difesa e per la gestione delle crisi.
blueskyreport il tweet su obama a renzi
Non sono questioni da prendere alla leggera. Un’eventuale mancanza di accordo non spingerà Biden a replicare le minacce e le mosse unilaterali di Trump, ma potrebbe rafforzare la tendenza di questa amministrazione a concentrarsi sui problemi interni, mettendo in secondo piano gli impegni internazionali.
3 – L'ITALIA E L'AMERICA DI JOE BIDEN
Giampiero Massolo per www.ispionline.it
E’un’America divisa e disorientata, quella che assisterà il 20 gennaio al giuramento di Joe Biden. Alla polarizzazione politica ereditata dalla parentesi trumpiana, che veniva da lontano ma che è emersa in tutta evidenza dalle elezioni di novembre, si sono sommati lo sconcerto e il senso di insicurezza seguiti ai tragici fatti di Capitol Hill.
IL DISCORSO DI JOE BIDEN DOPO IL GIURAMENTO 1
E’ tuttavia anche un’America che ha reagito e che mostra di non voler rinunciare al ruolo di punto di riferimento storico e valoriale delle democrazie occidentali. Utilizzando una metafora tristemente attuale, potremmo dire che tanto i checks and balances istituzionali quanto lo stesso sistema partitico americani hanno dimostrato di possedere gli anticorpi necessari per respingere il virus dell’eversione antisistema.
E’ un dato confortante e di grande significato, che non allontana tuttavia il rischio che nello schieramento democratico, come in quello repubblicano, prevalgano a lungo andare le voci più estreme a discapito di quelle più moderate, innestando una serie di sommovimenti tellurici i cui effetti sarebbero avvertiti in tutto il mondo.
Se Biden è risultato il Presidente più votato della storia americana, d’altronde, Trump ne è risultato il secondo, ed appare determinato a giocarsi le sue carte fino in fondo in vista delle prossime scadenze elettorali. Il grande paradosso di un’America quale potenziale fattore di instabilità globale che taluni hanno evocato è quindi tutt’altro che scongiurato e l’Amministrazione entrante ne appare consapevole.
Anche in questa chiave, possiamo ragionevolmente attenderci che in politica estera la presidenza Biden si caratterizzi per un approccio meno personalistico e più inclusivo, nel solco della tradizione del Partito Democratico.
Dichiarato sostenitore del multilateralismo, il nuovo presidente promuoverà, almeno nella forma, il ritorno a modalità nell’interlocuzione internazionale più in linea con la normale grammatica diplomatica, a partire dalla valorizzazione del rapporto con gli alleati tradizionali.
Non è poco, ma non bisogna illudersi che tale cambiamento porterà con sé una rivoluzione nella sostanza, specie per una Presidenza le cui energie saranno gioco forza assorbite in primo luogo dall’emergenza sanitaria, dalla crisi economica e sociale, ma anche dalla necessità di consolidare la propria base elettorale, magari proprio cercando di attirare a sé la componente più moderata dell’elettorato di Trump.
joe biden bacia la moglie jill dopo il giuramento
Non siamo quindi alla vigilia della fine dell’American First, ma possiamo attenderci da Washington toni nuovi specie nelle relazioni transatlantiche, in cui il nostro Paese ha da sempre un ruolo centrale.
Un ruolo che l’Italia ha oggi l’opportunità di mettere a sistema almeno su tre direttrici. Quella multilaterale, in primo luogo, attraverso la Presidenza di turno del G20. Una piattaforma che potrà rivelarsi preziosa per avvicinare le posizioni tra i Paesi occidentali e quelli emergenti su temi globali decisivi quali la lotta alla pandemia, il cambiamento climatico, il commercio, il progresso tecnologico e le regole internazionali.
giuseppe conte e ursula von der leyen a bruxelles
Potendo influire sull’agenda dei lavori e sui negoziati per la dichiarazione finale l’Italia potrà spendere il proprio capitale di credibilità quale potenza di equilibrio per proporre soluzioni che favoriscano un riavvicinamento tra Washington e Pechino, mantenendo agganciate al negoziato le democrazie asiatiche oggi esposte all’egemonismo cinese.
In ciò, il nostro Paese potrà giovarsi dell’atteggiamento maggiormente cooperativo della nuova Amministrazione americana, ma anche della volontà della Cina di mostrarsi più cooperativa e responsabile rispetto alla prima fase della gestione della pandemia.
La seconda direttrice è quella dei rapporti con l’UE a poche settimane dalla conclusione dell’accordo sulla Brexit. Anche in questo caso, l’Italia ha la possibilità di far valere le proprie qualità di alleato affidabile ed equilibrato. Qualità che potranno rivelarsi particolarmente preziose nella veste di attore centrale della costruzione di una difesa comune europea, favorendone gli aspetti complementari e sinergici con l’Alleanza atlantica piuttosto che quelli divisivi.
Analoghe considerazioni potrebbero valere anche per i contenziosi in materia commerciale e tecnologica sino-americani, destinati a protrarsi e nei quali è sempre più evidente l’esigenza di un Occidente coeso sui valori come sulle regole. Vi è infine la direttrice del nostro vicinato immediato, nell’area del Mediterraneo, del Medio Oriente e dei Balcani, centro nevralgico dei nostri interessi e della nostra sicurezza nazionale.
Basti pensare alla crisi libica, dove l’azione di mediazione onusiana attraversa oggi snodi tanto promettenti quanto delicati, ma anche al Mediterraneo Orientale, oltre a crisi regionali che vedono la presenza consolidata dei nostri militari, quali il Libano, l’Iraq, il Sahel, il Kossovo o l’Afghanistan.
giuseppe conte angela merkel 3
Teatri dai quali Biden potrebbe proseguire il percorso di disimpegno avviato da Obama prima ancora che da Trump, rendendo ancor più evidente (e preziosa per Washington) la nostra presenzia in funzione di stabilizzazione. Quella che ci attende da domani è pertanto una prova di maturità per le nostre capacità di perseguire in modo coerente e unitario l’interesse nazionale.
Essa chiamerà in causa tutto il Sistema Paese, dal mondo politico a quello delle imprese, dai media alla società civile. Prenderne coscienza, ad ogni livello, sarà fondamentale, così come tenere a mente la differenza tra l’essere alleati e dei semplici partner.
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