DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Francesco La Licata per "la Stampa"
«à da quattordici anni che inseguo questo personaggio curiosissimo e contraddittorio, grande trafficante come sanno esserlo solo pochi criminali calabresi, cultura antica e consolidata dentro i confini della vecchia 'ndrangheta di Siderno, ma mente aperta alle novità , intelligenza capace di districarsi fra i meandri dei grandi numeri e le "culture" diverse dei suoi numerosi amici, sparsi in tutto il mondo».
Così parla Nicola Gratteri, aggiunto presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria e nemico giurato della mafia calabra. Il soggetto a cui fa riferimento il «ritrattino» abbozzato dal magistrato corrisponde al nome di Roberto Pannunzi, italiano d'origine, specializzato nel narcotraffico colombiano e dell'intera America del Sud. L'arresto di «Bebè» - così è conosciuto Pannunzi - è la seconda tappa di avvicinamento che Gratteri compie in direzione della latitanza dorata del boss.
I due erano arrivati molto vicini già qualche anno fa, quando Bebè era stato individuato, insieme al figlio Alessandro e al genero Francesco, in un ristorante di Madrid. Era il 2004 e Gratteri aveva già monitorato la vacanza spagnola del trafficante. Vacanza si fa per dire, perchè il boss non sta mai in ferie, anche se vive alla grande in una delle residenze più lussuose di Madrid. «Lo tenevamo sotto controllo - confessa Gratteri - già dagli inizi del Duemila. Avevamo individuato alcuni personaggi del narcotraffico che erano in relazione con lui e ascoltavamo le loro conversazioni. Ecco come l'abbiamo preso la prima volta».
Ed ecco, spiega Gratteri, «perchè all'arrivo a Fiumicino, l'altra sera, ha dato una pacca sulle spalle al maresciallo che lo aspettava con me». Si conoscevano? «Si, si conoscevano. Pannunzi sapeva che quell'uomo lo aveva riconosciuto ascoltandone la voce al telefono. E così ha voluto gratificare il sottufficiale riconoscendogli il merito di aver individuato il timbro vocale dopo 16 anni». Già , perchè la voce di «Bebè» divenne nota in occasione del primo arresto (1994) a Medellin, dove Pannunzi esercitava già il ruolo di «grande broker» della coca.
Nessuna sceneggiata, dunque, nei sorrisi e nelle effusioni elargiti da Pannunzi all'aeroporto di Fiumicino. «No, lui racconta Gratteri - è fatto così. à gentile, non alza la voce, ha rispetto per le regole. La sua origine, la sua storia sono le caratteristiche che gli hanno permesso di diventare nel tempo una specie di garante presso il narcotraffico di tutto il Sud America».
«Viveva in Colombia ma si muoveva continuamente e poteva governare il business illegale di tre o quattro Stati. La mafia siciliana, la Cosa nostra del Nordamerica, la Camorra: chiunque avesse in animo di investire nella coca doveva passare attraverso «Bebè». Lui prendeva l'ordine e garantiva pronta consegna in qualunque porto dell'Europa. Prezzo e qualità ottimi, pagamento assicurato: questo il valore aggiunto dei buoni uffici di Pannunzi».
La coca «Bebè» la sposta a vagonate, non a chili. Su buttò sulla «neve» quando ancora erano gli Anni '80 - le organizzazioni criminali raffinavano eroina. Lui capì che il futuro stava nella droga «positiva», dannosa solo sul lungo e senza effetti visibili come il «buco» e le conseguenti malattie infettive, contrapposta alla «ero» che distrugge i corpi dei tossici. D'altra parte il legame con Cosa nostra - dice Gratteri - era davvero profondo. «Pannunzi nasce nella élite della mafia calabrese, la cosca di Siderno di 'zi 'Ntoni Macrì, quella che Totò Riina, per intenderci, andava a visitare vestito da prete».
«Ma non troverete mai - aggiunge il magistrato - Bebè in compagnia di delinquenti riconosciuti. Lui agisce come un broker che investe in borsa i soldi di onesti industriali. Quando lo trovammo, a Madrid, era in procinto di andare, con figlio e genero, in casa di una contessa. Queste sono le sue frequentazioni e per questo è stato davvero difficile trovarlo ancora una volta».
A pensarci, somiglia molto a Masino Buscetta, il nostro boss. «à vero - ammette Gratteri - e ci pensavo l'altra sera. Se accettasse di collaborare, Pannunzi diventerebbe importante come lo fu don Masino. In fondo è il secondo "grande latitante" che riusciamo a riportare in Italia». Ha provato ad agganciarlo? «Quando è sbarcato a Fiumicino gli ho chiesto: "Come state? Avete viaggiato bene? Siete stato trattato bene?».
E lui ? «Già pensava a cercare rimedi: lo stato di salute che, grazie a qualche smagliatura del sistema gli aveva consentito la fuga nel 2005. Spero non accada più che gli consenta di stare in ospedale senza neppure il piantonamento. Proprio per evitare il peggio, lo stesso giorno della cattura ho ottenuto per lui il 41 bis, nella certezza che sarà assegnato ad un carcere sicuro. E' ricco e potente, anche se non è un boss della finanza mondiale e non è stato preso grazie all'aiuto di altri arresti, com'è stato scritto».
L'ARRESTO DI ROBERTO PANNUNZI A BOGOTA' NEL 2013Roberto PannunziRoberto PannunziRoberto PannunziRoberto PannunziFrancesco Gratteri condannato per i tragici fatti della caserma DiazL'ARRESTO DI TOMMASO BUSCETTA IN BRASILE NEL 1983L arrivo di Tommaso Buscetta in Italia il luglio Ansa cocaina cocaina
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