DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
Sessanta miliardi di sterline, ovvero ottanta miliardi di euro, “bruciati” in tre giorni al London Stock Exchange, in un’ondata di vendite alla borsa londinese. La sterlina che continua a scendere sempre più in basso. E il “poll of polls” del Financial Times, la media di tutti i sondaggi sul referendum sull’Unione Europea, considerata il metro più credibile dell’umore nazionale, che per la prima volta indica in vantaggio Brexit (Britain exit – cioè l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue): 46 a 44 per cento.
Mentre altre due rilevazioni confermano la stessa tendenza: uno sull’Independent, che ha dato addirittura 10 punti di margine a Brexit, l’altro del Guardian che gliene dà 6. E’ abbastanza per scatenare allarme e panico, a Londra, sui mercati internazionali, tra i leader mondiali: il “divorzio” del Regno Unito dall’Europa sta per diventare realtà? Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si augura di no: «La Brexit non è la strada giusta - ha detto ieri - spero nella saggezza degli elettori britannici ».
A dieci giorni dal voto, ieri il fronte del “sì” alla Ue ha cambiato tattica. David Cameron, il premier conservatore che ha voluto il referendum per dimostrarsi sufficientemente euroscettico ai propri elettori e vincere le elezioni del 2015, ma poi – in nome di presunte concessioni ottenute da Bruxelles – si è schierato con decisione per “Remain”, fa un passo indietro. Comizi, dibattiti e propaganda non lo vedranno impegnato più di tanto in settimana, lasciando che a condurre la battaglia sia il partito laburista. Se soltanto metà o meno dell’elettorato dei Tories è propenso a votare sì all’Europa, per vincere il referendum bisogna che voti sì in massa quello Labour.
E proprio questo sembra un problema. I sondaggi indicano che il popolo laburista è freddo sul referendum, se non incline a votare per Brexit. Le ragioni sono duplici. Da un lato, è la parte economicamente più fragile della classe operaia a sentirsi minacciata dall’immigrazione: sull’argomento parecchi laburisti si sentono più in linea con l’Ukip che con il Labour.
Dall’altro, il nuovo leader laburista Jeremy Corbyn appare a sua volta non troppo entusiasta della Ue, che critica da posizioni di sinistra radicale, accusandola di essere un’istituzione liberista, artefice di un capitalismo che non gli piace. Quando l’altro giorno gli hanno chiesto in televisione quanto fosse grande la sua passione per l’Unione Europea da uno a dieci, Corbyn ha risposto: «Circa sette».
Non a caso, a guidare la campagna per il sì in questi giorni è l’ex-premier laburista Gordon Brown, già presente sul web con un video pro-Ue visualizzato milioni di volte e lunedì protagonista di un appassionato discorso. «Elettori del Labour, siete voi ad avere da guadagnarci più di tutti a restare in Europa», ha avvertito. «La Gran Bretagna non deve abbandonare l’Europa, bensì farsene leader per migliorarla», ha soggiunto. Una situazione da deja vu, perché due anni or sono fu proprio Brown a “salvare” Cameron e la Gran Bretagna, negli ultimi giorni della campagna del referendum per l’indipendenza scozzese, persuadendo, lui laburista e scozzese, gli scozzesi a restare nel Regno Unito. Anche allora i sondaggi prevedevano una secessione. Brown riuscì a smentirli. Riuscirà a compiere il miracolo una seconda volta?
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