FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Alessandro De Angelis per “la Stampa” - Estratti
«Effettivamente ho l'equidistanza nel destino», ci dice Bruno Tabacci, nato nel '46, anno in cui si votò tra monarchia a Repubblica, a Quistello, bassa mantovana, terra lambita al Sud dal 45° parallelo, appunto equidistante tra Polo Nord ed Equatore. A due passi, a proposito di segni, c'è San Benedetto Po, paese natale del cardinale Ruffini, zio del padre di Ernesto Maria, l'uomo nuovo che i centristi sognano "federatore", di cui Tabacci è gran consigliere: «Ci confrontiamo, ma è solido di suo, ha respirato la politica sin da ragazzo».
Vicesindaco del suo paese, consigliere regionale, presidente della Regione Lombardia nell'87, in Parlamento è entrato nel '92 col Ppi: «Allora gli eletti di prima nomina, anche se esperti, non potevano andare in commissione Esteri e Bilancio. Per parlare in Aula dovevi chiedere il permesso. Che scuola i partiti!». Da allora, dal Palazzo non è più uscito, se non per un breve periodo in cui ha avuto incarichi a Eni, Snam, Efibanca e presidente e ad di Autostrade della Cisa.
L'ultima volta è stato eletto grazie a una lista con Luigi Di Maio. Poi si sono persi di vista. Le danno del Tarzan: al momento giusto, la liana per rientrare.
«Ma no, ho solo una grande passione politica. E, come diceva Ciriaco De Mita, dalla passione politica ci si dimette solo con la morte».
Con l'Udc nel centrodestra, poi alla ricerca del centro nel centrosinistra: Rosa Bianca, Centro democratico, ora quel che si muove attorno a Ernesto Maria Ruffini.
«Pensi che nel 2018 avevo deciso di non candidarmi e avevo già altri progetti. Poi mi chiamò Emma Bonino, perché aveva difficoltà nel raccogliere le firme e ci federammo col mio Centro democratico. Fui richiamato dalla politica».
Tutto questo dibattito sul centro sa di vecchio: il "laboratorio", il "luogo di ascolto".
«Non parlerei di centro, ma di area politica dove devono prevalere competenza, responsabilità, senso del dovere. Insomma, quelli che non parlano alle curve. Detto questo, è vero, questa area va presentata in chiave di novità, non con le solite formule».
Diciamoci la verità: si chiamano correnti, e servono alla nomenklatura per rientrare in Parlamento.
«Per ora la discussione è tutta interna al Pd, va portata fuori. Ruffini ha parlato a chi sta fuori, più che a chi sta dentro».
Ammetterà che uno che ha fatto "Mister fisco" non è molto popolare in Italia.
«E perché? Puoi immaginare lo Stato senza le tasse? Invece io penso che uno in grado di togliere il sommerso e scambiare ricchi con i poveri sia un bel messaggio».
(…)
Ma è vero che si sente il talent scout di Mario Draghi?
«Era bravo di suo, però sì, lo coinvolsi. Nell'82, Marcora doveva fare il premier, ma andò Fanfani, che chiamò Goria al Tesoro. E io andai a fare il capo della segreteria tecnica. Ci ritrovammo senza consulenti.
Goria chiamò Innocenzo Cipolletta. Romano Prodi e il professor Alberto Quadro Curzio mi parlarono di un giovane brillante che era poco salito in cattedra a Firenze, Draghi appunto. Si rese disponibile. Dopo un anno Goria lo indicò come vicepresidente esecutivo della Banca Mondiale».
Quarant'anni dopo è stato sottosegretario del suo governo.
«Esperienza bellissima. Non sarebbe mai andato alla cerimonia di Trump, dopo il mancato invito a Ursula Von der Leyen. Avrebbe fatto prevalere la solidarietà europea».
Ma la competenza serve ancora per conquistare il potere?
«Per conquistarlo non lo so, per governare sì. Ricordo un incontro con Fanfani. C'era da trasmettere al Parlamento, ogni trimestre, una relazione sulla gestione di cassa delle amministrazioni pubbliche. Andai a fargli vedere la presentazione. Passò in rassegna quelle quattro cartelle, proponendo con garbo dei cambiamenti. Conosceva lo Stato con una professionalità assoluta».
Dica la verità: lei è un nostalgico.
«Totalmente, Mamma Dc ti consentiva di crescere dentro regole di dovere e serietà Quando nell'85 entrai in direzione centrale, spesso mi sedevo accanto a Fanfani perché c'era da imparare. Aveva fogli di appunti scritti piccoli, a mano. Si studiava per qualunque cosa. E la politica guidava».
(...)
Esistono i poteri forti?
«Nel racconto più che nella realtà. Quando la politica era forte, erano forti anche i poteri, dai corpi intermedi al sistema economico. Confindustria di oggi non è quella di Agnelli o Pirelli e anche il sistema Mediobanca non ha più il peso di un tempo».
Quanto conta il Parlamento?
«Zero. Se nel'92 ti permettevi di porre il maxi emendamento sulla Finanziaria non ne uscivi vivo. Ora si governa per decreti. Il premierato c'è già, ed è stato costruito nel tempo: morte dei partiti, taglio dei parlamentari, criteri di elezione che premiano la fedeltà sulla rappresentanza. La settimana parlamentare dura ormai un giorno e mezzo...»
Consiglio democristiano a Giorgia Meloni.
«Mi ha colpito molto che, nell'arco di poche settimane, prima Ruffini, poi Elisabetta Belloni si siano dimessi, uno da capo dell'Agenzia dell'entrate l'altro da capo dei servizi.
Non erano a fine incarico. Non si governa avendo sfiducia negli apparati dello Stato».
(...)
La chiamano Brunobike. In bicicletta è più forte lei o Prodi?
«Prodi è forte ma forse in salita vado meglio io. I chili in più sono uno zaino pesante».
bruno tabacci foto di bacco (2)massimo tabacci foto di baccobruno tabacci foto di bacco
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