DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Giulio Scranno per www.linkiesta.it
Roma, via Sant'Andrea delle Fratte 16. Una mattinata d'autunno come tante. Quel che resta dei "compagni della vigilanza" di novecentesca memoria presidia la sede del Partito Democratico, insieme a un drappello di forze dell'ordine. All'interno del palazzo, che fu sede dello storico collegio del Nazareno, c'è Matteo Renzi. Da qualche mese, il segretario, però, non alberga più nella stanza al secondo piano che fu prima di Veltroni, poi di Franceschini, di Bersani e, per un brevissimo periodo, anche di Guglielmo Epifani. Si è spostato al terzo piano, nell'ala del palazzo che, anche dopo la nascita del Pd, è rimasta sede amministrativa della Margherita.
Qui Renzi, che si ferma a Roma per non più di tre giorni alla settimana, ha costruito il suo fortino. E da qui sta per ripartire con l’ennesima campagna elettorale della vita, quella che potrebbe rilanciarlo o farlo precipitare nel baratro. Le persone che hanno libero accesso ai locali del segretario si contano sulle dita di una mano. Le altre - tutte le altre - devono seguire la prassi e mettersi in fila. Il traffico è regolato con inflessibile premura dalla segretaria di Renzi, che fa da filtro tra lui, il resto del partito e il mondo esterno.
Tra le persone che non devono chiedere il permesso per entrare ci sono due nomi in prima fila: Maria Elena Boschi e Luca Lotti, sempre loro, le persone di cui il segretario si fida di più in assoluto. È insieme a loro che Renzi sta definendo le strategie per i prossimi mesi e delineando la stratificazione del suo esercito nel partito e in Parlamento.
Al secondo piano lavora la maggior parte dei dipendenti del Pd, falcidiati dalla cassa integrazione resasi necessaria dopo che le casse del partito sono state svuotate dalla campagna elettorale per il referendum costituzionale e soprattutto dalla fine del finanziamento pubblico. Qui Renzi non mette piede da mesi.
A mandare avanti la baracca c'è il fidato tesoriere Francesco Bonifazi. Mai, nella storia del Pd, un tesoriere ha avuto tanto potere. A dargli manforte la plenipotenziaria dell'amministrazione, Antonella Trivisonno, cui è toccato l'ingrato compito di gestire il passaggio della cassa integrazione, e l'intraprendente Mattia Peradotto, già esponente dei Futuredem (i Giovani Democratici renziani), ora tuttofare del partito a cui vengono assegnati i ruoli operativi più delicati.
Come per esempio l'organizzazione del "treno", la campagna d'ascolto che terrà impegnato Renzi nei prossimi due mesi. Fanno tutti parte del consiglio d'amministrazione di Democratica Srl, società che ha sostituito Eyu Srl, e che sta piano piano creando una sorta di comitato elettorale permanente, una struttura parallela al vecchio corpaccione del partito, a completa disposizione del segretario. A partire dall'omonimo quotidiano digitale, diretto da Andrea Romano.
Altro uomo "potente" del secondo piano è Matteo Richetti. Il deputato modenese, renziano della prima ora, poi progressivamente emarginato dal Giglio Magico, è tornato ora nelle grazie del segretario. È uno dei pochi privilegiati che può concedersi sortite politiche non concordate nel dettaglio. Nonostante l'aspetto apparentemente "piacione", Richetti ha preso di forza il totale controllo della comunicazione del Pd, imponendo l'archiviazione della linea sensazionalistica, di ispirazione grillina, che per qualche mese ha campeggiato – non senza polemiche – sulle pagine social del Pd, sia quelle ufficiali sia, soprattutto, le "unofficial". In questo senso è stato molto ridimensionato il ruolo di Alessio De Giorgi, smanettone renziano, autore di un clamoroso "epic fail" riguardo la gestione della pagina Facebook 'Matteo Renzi News' e una criticatissima card in cui paragonava il suo capo a Francesco Totti. Ora la comunicazione è in mano all'agenzia barese Proforma, già con Renzi a Palazzo Chigi, cui è stata appaltata tutta la gestione tecnico-creativa.
L'ufficio stampa - dopo la lunga parentesi di Filippo Sensi - è ora sotto il rigido controllo di Marco Agnoletti, con Renzi dai tempi in cui ricopriva l'incarico di presidente della Provincia di Firenze. Tutte le uscite pubbliche e le ospitate in tv, passano da lui.
L'organizzazione "militaresca" del partito, nelle intenzioni di Renzi, dovrebbe essere proiettata anche sul Parlamento. Ma qui il quadro è più intricato. A controllare le truppe, ci sono, ancora loro, Lotti e Boschi, che, a livello di sfere di influenza, si sono spartiti anche la potente corrente franceschiniana. Il ministro della Cultura ha fatto capire ai suoi che non è più in grado di garantire loro un futuro parlamentare sicuro e, quindi, di cercarsi altre "case".
Per fare un esempio, due pezzi grossi della pattuglia, Ettore Rosato e Antonello Giacomelli, sono ora tra gli uomini più fedeli, rispettivamente, della Boschi e di Lotti. Tra i quali, come noto, non scorre buon sangue, per usare un eufemismo. Altre figure fidate sono quelle dell'ex vicesegretario Lorenzo Guerini, gran tessitore silenzioso, e del suo successore Maurizio Martina. E poi Roberto Giachetti, Emanuele Fiano, Gennaro Migliore, Simona Malpezzi, Anna Ascani, solo per fare alcuni nomi. Sempre più ai margini del nocciolo duro del renzismo, invece, Matteo Orfini. I mal di pancia tra i "giovani turchi" per l'accelerazione sul Rosatellum non sono mancati e non mancheranno neppure in vista del decisivo passaggio parlamentare in Senato.
Dal Parlamento al governo. In questa galassia dell'universo renziano, oltre ai pluricitati fedelissimi, sono in pochi a godere della fiducia del segretario. Apparentemente il primo sulla lista degli indesiderati dovrebbe essere Carlo Calenda, viste le sue ultime uscite in chiave anti-renziana e il continuo riferimento al suo nome come possibile asso nel mazzo del centrodestra in vista di un governo di larghe intese. Con il ministro dello Sviluppo, però, sono in corso reciproci ammiccamenti distensivi.
In realtà in cima alle attuali antipatie (altro eufemismo) c’è Dario Franceschini, colpevole di "essere sceso troppo presto dal carro del vincitore" e congiurato per eccellenza, nonostante l'accordo raggiunto sulla legge elettorale. Con Andrea Orlando c'è stima umana ma enormi differenze di approccio politico. Freddini, nonostante il progressivo riavvicinamento degli ultimi anni, anche i rapporti con Anna Finocchiaro. Un discorso a parte meritano Graziano Delrio, Marco Minniti e, soprattutto, Paolo Gentiloni.
Il "tridente" immaginato da Renzi per affiancarlo nella campagna elettorale è ben assortito e sembra coprire ogni angolo del campo. Il problema è che il segretario se lo immaginava come un supporting cast in suo sostegno, mentre sono in molti a pensare che i tre, ognuno con le sue caratteristiche, possano giocare ruoli da protagonista, in un futuro neppure troppo remoto. E a proposito di supporting cast, non è passato inosservato, il tentativo del segretario di riagganciare una parte dei grandi vecchi del Pd, a partire da Piero Fassino e, soprattutto, Walter Veltroni, a cui, dopo il simbolico riavvicinamento in occasione delle celebrazioni per il decennale, verrà fornita una stanza al Nazareno nei prossimi giorni.
Insomma, il nuovo universo renziano va delineandosi rapidamente. Le insidie, a cominciare dal voto in Senato sul Rosatellum e dalle elezioni siciliane, non mancano. Renzi sa bene che nei prossimi mesi dovrà resistere a pressioni sempre più insistenti sulla composizione delle liste e non solo. Dentro e fuori il partito, non è affatto stata accantonata la prospettiva di un passo indietro e della rinuncia alla candidatura a premier da parte dell'ex segretario. Non può resistere da solo, anche perché le cose, ultimamente, quando ha agito da solo, non sono andate benissimo. Si tratta ora di scegliere i compagni di strada giusti. E non è cosa da poco.
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