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COSA C’È DIETRO LO SCAZZO TRA GIORGETTI E IL SUO PARTITO? I LEGHISTI HANNO MESSO NEL MIRINO IL MINISTRO PER LA STRETTA SULLE PENSIONI, DECISA INSIEME ALLA MELONI, COSTRINGENDOLO A UNA RETROMARCIA. EPPURE DAL TESORO ASSICURANO CHE “TUTTI AVEVANO VISTO TUTTO, NON SCHERZIAMO, QUELLO SULLE PENSIONI NON È UN PROVVEDIMENTO ARRIVATO ALL’IMPROVVISO”. AL CARROCCIO SAPEVANO BENISSIMO DELLE MISURE, NECESSARIE PER FINANZIARIE I FONDI ALLE IMPRESE. EPPURE HANNO MESSO IN SCENA UN TEATRINO CON TANTO DI IMPROBABILE MINACCIA DI CRISI DI GOVERNO – CON IL PARTITO SEMPRE SPACCATO E LA MINA VAGANTE ZAIA, SALVINI VUOLE MOSTRATE DI “AVERCELO ANCORA DURO”…
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
matteo salvini giancarlo giorgetti francesco lollobrigida
Giancarlo Giorgetti non è mai stato noto per le uscite avventate. Per questo non è difficile capire perché il ministro dell’Economia sia rimasto sorpreso di fronte alla levata di scudi all’interno del suo partito, la Lega, per alcune delle ultime coperture inserite in legge di Bilancio.
In particolare, l’allungamento in prospettiva delle cosiddette «finestre mobili» per le pensioni: il periodo fra il momento in cui si maturano i requisiti contributivi per il ritiro e l’effettiva decorrenza dell’assegno di quiescenza.
Nel tentativo di trovare altri 3,6 miliardi per far quadrare i conti, il ministero dell’Economia nelle ultime settimane aveva lavorato ad allungare le finestre oltre i tre mesi attuali (a partire dai prossimi anni). Giorgia Meloni sarebbe stata d’accordo.
giancarlo giorgetti giorgia meloni foto lapresse.
Ma soprattutto, prima di affacciare nel maxiemendamento alla legge di Bilancio un’ipotesi simile, il ministero dell’Economia aveva vagliato anche la Lega.
Del partito Giorgetti è numero due ed è il primo a conoscerne la delicatezza degli equilibri, specie sui temi previdenziali. Per questo i tecnici dell’Economia hanno discusso, fra gli altri interlocutori, anche con gli uffici del partito del ministro. Il progetto sull’allungamento delle finestre si è affacciato in legge di Bilancio solo dopo.
GIORGIA MELONI EMANUELE ORSINI
È lì che sono arrivati gli interventi polemici di vari esponenti leghisti negli ultimi giorni, che hanno costretto Giorgetti e il governo alla marcia indietro. «Tutti avevano visto tutto, non scherziamo» è uno dei commenti che arrivano da via XX Settembre in queste ore. «Quello sulle pensioni non può essere certo un provvedimento arrivato all’improvviso — si aggiunge —. Il lavoro andava avanti da un pezzo».
Giorgetti stesso, con la manovra aperta in Parlamento, non ha alimentato tensioni. Con chi gli ha chiesto se pensa a dimettersi, è stato sintetico: «È la ventinovesima legge di Bilancio che faccio e so perfettamente come funziona fra Parlamento, commissione (parlamentare, ndr ) e le proposte del governo — ha detto —. A me interessa il prodotto finale, crediamo di aver fatto delle cose giuste».
matteo salvini e giancarlo giorgetti 6
Il punto è capire le ragioni di un cortocircuito così plateale. E cosa ha indotto il ministro a intervenire come ha fatto negli ultimi giorni, visto il percorso della legge di Bilancio almeno da ottobre scorso.
La produzione industriale ha segnato contrazioni per 32 mesi — rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente — su 36 mesi del governo Meloni (l’industria pesa per il 27% dell’occupazione in Italia). Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha iniziato a incalzare Giorgetti malgrado la buona salute dei conti: «Non ci serve un ministro da copertina»
In incontri privati in autunno alcuni rappresentanti del mondo delle imprese hanno sottolineato al ministero dell’Economia che con dicembre scadevano varie forme di sgravio: Transizione 5.0, Industria 4.0 e gli sgravi della Zona economica speciale del Mezzogiorno (anche se Giorgetti in cuor suo pensa che troppi nel Paese siano spesso a caccia di aiuti pubblici).
Non solo. Fra gennaio e ottobre del 2025 — stima il professor Massimo Beccarello dell’Università Milano-Bicocca — il costo della materia prima elettrica è stato dell’85,6% superiore alla media dei principali Paesi europei. […]
matteo salvini giancarlo giorgetti. voto di fiducia sulla manovra 2024 foto lapresse
Poi a inizio novembre un decreto del ministero delle Imprese ha tagliato di colpo di circa 4 miliardi di euro gli incentivi di Transizione 5.0, con la revisione del Piano nazionale di ripresa (Pnrr). I fondi sono andati ad assorbire altri costi già presenti nella finanza pubblica. Migliaia di imprese indebitatesi in vista degli incentivi hanno protestato e Adolfo Urso, ministro delle Imprese, ha risposto promettendo che tutte le prenotazioni di sgravi presentate entro l’anno sarebbero state soddisfatte.
Ma questo impegno ha portato ad ancora più richieste, al punto che adesso Giorgetti si è trovato con un onere in più previsto ora di 1,3 miliardi che andrà finanziato fuori dal Pnrr: con fondi nazionali. Il ministro, non senza una certa irritazione dei suoi, ha cercato nuove risorse anche per questo.
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