UN DOPPIO CALCIO NEL CULATELLO: RENZI PREMIER, BARCA SEGRETARIO

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Giovanna Casadio per "La Repubblica"

«In campo? Veramente io non userei mai quest'espressione, comunque...». La corsa alla segreteria del Pd sembra già partita. E Fabrizio Barca anticipa i tempi: «Non sono interessato a fare il premier ma sono interessato al partito». Ammissione uguale e contraria a quella di Matteo Renzi. «Non sono interessato a fare il segretario del Pd ma il premier». A bordo campo - mentre Bersani si dedica a tessere l'accordo per il Quirinale - ora sono in due a scaldare i muscoli. La strana coppia, diversi eppure complementari.

Barca è l'anomalo "tecnico" del governo Monti, perché la politica l'ha respirata e appresa dal padre, Luciano, uno dei leader del Pci. Di Bersani è amico personale, tanto che quando fu nominato ministro della Coesione territoriale, nel novembre del 2011, a complimentarsi con lui per primi furono proprio il segretario democratico e il presidente Napolitano.

Eppure, ora che il ministro ed economista ha lanciato una Opa sul partito, il sindaco lo osserva a distanza con molto interesse e una punta di preoccupazione. Ma un "collante" di questa strana coppia c'è: il superamento della fase attuale del Pd. L'uno per rilanciare partito («io non mi sento portato per la guida del governo»), l'altro per guidare l'esecutivo.

Una strana coppia che sembra mirare a due obiettivi diversi, con visioni divaricate su molti punti. Renzi per cominciare, vuole rottamare l'apparato del Pd, convinto com'è che i partiti della Terza Repubblica debbano essere "leggeri" e rinunciare al finanziamento pubblico. Barca sul finanziamento pubblico fa un ragionamento che - annuncia - spiegherà bene nella «memoria politica» quasi pronta.

Prima del 18 aprile, commemorazione della scomparsa del padre, dirà esattamente cosa pensa anche dei soldi pubblici ai partiti: «Prima di dire da chi i finanziamenti devono arrivare, occorre spiegare per fare cosa», precisa. I bersaniani accolgono bene l'annuncio di Barca. Il terreno della novità finora è stato occupato solo da Renzi, e nel partito è scontro aperto sulla melina per il governo, di cui il paese ha necessità assoluta. Il rischio di una scissione del Pd è il fantasma evocato da tutti. Mentre con Barca in campo, il gioco cambia. «Barca in politica con il Pd è un fatto molto positivo»: fa sapere il segretario.

Bisogna però aspettare le mosse di Bersani. E i riposizionamenti in corso. Il leader del Pd, prima di partire per Piacenza per il fine settimana, ieri era più ottimista. Innanzitutto, sull'«ampia condivisione» per il successore di Napolitano. L'incontro con Monti e l'apertura di Berlusconi, che ha anche stoppato il ritorno alle urne, lasciano ben sperare. «Facciamo un passo avanti alla volta»: afferma Bersani. Alla fine della strada, il segretario vede sempre Palazzo Chigi. «Il mio incarico non è svanito», avverte.

Gli emiliani, cioè i fedelissimi bersaniani Migliavacca e Errani, sono convinti che, dopo l'elezione del presidente della Repubblica, si ripartirà dalle cose più semplici. E la più semplice di tutte è affidare l'incarico al leader della coalizione che è arrivata prima alla Camera e anche al Senato, pur non avendo qui i numeri sufficienti. «Io ci sono», è il mantra di Bersani. E anche se poi tutto dovesse precipitare, tenterà la "ricandidatura".

Ma la strategia attendista del leader Pd, aspramente criticata da Renzi, è presa di mira anche in un documento firmato da una trentina di deputati democratici. Sono renziani, "giovani turchi", ma un po' di tutte le correnti. Chiedono di far partire subito le Commissioni parlamentari, e di correggere quel "no" iniziale detto dal capogruppo Roberto Speranza ricordando la prassi parlamentare.

«Non importa se il governo non c'è, non possiamo aspettare: i bizantinismi non vanno più bene, va fatta una correzione», insiste Matteo Orfini, uno dei firmatari. La frase politicamente efficace dell'appello - sottolinea il renziano Dario Nardella - è là dove si dice: «È evidente che un governo è necessario e dovrà farsi il prima possibile». I trenta - da Civati a Ginefra, da Rughetti a Raciti - si spalleggiavano in Transatlantico, ribadendo: «Un segnale va dato, e subito». Fuori, e dentro il Pd.

 

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