DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Roberto D' Alimonte per "il Sole 24 ore"
Carlo Calenda ha grandi ambizioni. I sondaggi stimano il suo partito intorno al 6%, ma lui pensa di valere molto di più. Le vicende legate alla caduta di Draghi lo favoriscono. La sua linea politica pragmatica, il linguaggio diretto, la coerenza nel rifiutare contaminazioni con il M5S. La critica nei confronti di un certo massimalismo di sinistra lo rendono attraente a elettori che non si riconoscono più nei due poli tradizionali. Ora però deve decidere che fare: presentarsi da solo o insieme al Pd? Questo è il dilemma amletico.
Per massimizzare la sua visibilità, e quindi i voti, dovrebbe presentarsi da solo. In questo caso in tutti i 147 collegi uninominali della Camera e nei 74 del Senato ci sarebbero candidati di Azione/+Europa e il simbolo del partito sarebbe ben visibile sulla scheda. La campagna elettorale sarebbe più facile. Non vincerebbe nessun collegio, tranne forse quello di Roma 1 con Calenda candidato. Ma questo non sarebbe rilevante. Il vero obiettivo sarebbe massimizzare i voti e le prospettive future. Un obiettivo plausibile visto che da solo avrebbe probabilmente un appeal maggiore per quegli elettori moderati insoddisfatti del ruolo avuto da Berlusconi e Salvini nella crisi del governo Draghi o preoccupati di un possibile governo Meloni.
Ma la corsa solitaria quali conseguenze avrebbe? Sulla base dei sondaggi attuali un centro-sinistra con tutti dentro, meno il M5S, vale poco più del 35% contro il 45% circa di Fdi, Lega e Fi. Già così è dura competere nei collegi uninominali, senza Calenda sarebbe impossibile. In sintesi, con Calenda in coalizione la vittoria della destra è probabile, con Calenda fuori è praticamente certa, a meno che il quadro politico non cambi drammaticamente. L'obiezione che si può fare a questo ragionamento è che se Azione corresse da sola il suo risultato in voti potrebbe essere tanto buono da riequilibrare i rapporti tra i due poli maggiori e impedire così alla destra di vincere.
Se questo fosse vero la corsa solitaria invece di danneggiare il centro-sinistra lo favorirebbe. Ma quanti voti dovrebbe prendere Azione perché questo scenario si realizzi? Oggi ha il 6 per cento. Basterebbe il 12%, che sarebbe già un ottimo risultato? La risposta è no. Posto che i 6 punti in più vengano tutti da destra, questa coalizione scenderebbe dal 45 al 39% mentre il centro-sinistra senza Calenda resterebbe intorno al 30% per cento. È meglio della situazione fotografata dai sondaggi oggi, ma non tanto meglio. Quindi, per cambiare veramente il quadro, Azione dovrebbe arrivare intorno al 20%, la percentuale ottenuta alle comunali di Roma.
È realistico? Ne dubitiamo. Quindi l'esito più probabile della corsa solitaria sarebbe la sconfitta del centro-sinistra e un buon risultato per Azione, ma non il 20% che servirebbe. Cosa può succedere invece se Calenda decidesse di far parte della coalizione di centro-sinistra? A favore di questa ipotesi giocano due fattori. Il primo è banale: anche solo il 6% la rende un po' più competitiva. Il secondo è meno banale: quel 6% può crescere. E qui torniamo al tema dell'appeal di Calenda per gli elettori moderati di centro-destra, che - detto tra parentesi - è proprio la ragione che gli ha consentito di prendere il 19% alle comunali di Roma.
Questo ricorda il comportamento di quegli elettori che nelle politiche 2008, le prime del Pd con Veltroni leader, non volendo votare Pd, ma temendo la vittoria di Berlusconi, scelsero l'Italia del Valori di Di Pietro che era alleata al Pd. Allora erano elettori di sinistra. Questa volta potrebbero essere elettori di centro-destra. La presenza nelle fila di Azione di esponenti usciti da Forza Italia potrebbe facilitare questo voto. Quindi, se Calenda riuscisse a spostare verso Azione una quota di elettori moderati pari a 4-5 punti percentuali in modo da portare il suo partito intorno al 10%, questo cambierebbe il quadro. Tanti collegi uninominali diventerebbero competitivi e l'esito del voto non sarebbe più scontato.
Questo perché un voto moderato sottratto da Azione alla destra, se Azione è dentro la coalizione di centro-sinistra, pesa il doppio rispetto allo stesso voto dato a Azione se resta fuori. Questa è una ipotesi più realistica e quindi in base a questo calcolo l'alleanza sarebbe più conveniente sia al Pd che a Calenda. Ma in che tipo di coalizione dovrebbe entrare Azione per poter esprimere un significativo valore aggiunto? Infatti, che senso avrebbe far parte di una coalizione in cui si schiera a favore dei rigassificatori e Fratoianni e Bonelli contro, tanto per fare un esempio? E con questo siamo arrivati al dunque: quanto vale Calenda dentro il centro-sinistra? Dipende da quale centro-sinistra. In fondo il suo dilemma è anche il dilemma di Letta
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