1. CANTA (BELLA) NAPOLI E NEI GIORNALI RISUONANO GLI SQUILLI DEI TROMBETTIERI 2. DOPO LA CAPORETTO NEL SOSTENERE SENZA RISERVE MONTI, ANCHE L’ULTIMA CRISI MOSTRA LA MANCANZA DI AUTOREVOLEZZA DEI MEDIA, LANCIATI NELLE BRACCIA DI LETTA 3. MAI SFIDUCIATI IL BANANA, NÉ IL SUO IMPRESENTABILE SUCCESSORE A BOCCONI 4. LE CAMERE, ESAUTORATE DALLE LORO COMPETENZE SENZA CHE I TROMBETTIERI FACESSERO UN FISCHIO, SONO STATE SCIOLTE IN ANTICIPO PER LASCIARE NAPOLITANO IN SELLA ED “EVITARE UN INGORGO DOPO LE ELEZIONI”. CHE SI È TRASFORMATO INVECE IN TEMPESTA 5. MA ORMAI DAI GIORNALONI, DOPO I LETTORI, STANNO FUGGENDO PURE I POTERI MARCI 6. A BALUARDO DEL ‘CORRIERE’ RESTANO LE BANCHE. MA SOLO PER RECUPERARE I SOLDI

DAGOANALISI

Canta (Bella)Napoli e l'Italia di carta s'inchina (e s'incarta) nuovamente al suo re che non abdica né fugge al Sud come fece il tremebondo savoiardo Umberto. Già. I media si aggrappano ancora al sovrano novantenne perché non hanno altro cui attaccarsi per salvare la faccia (e l'onore).
A furia di buttare tutto all'aria (rottamare gli altri) per impedire che la politica si riappropri del proprio ruolo-guida del Paese su base elettorale, da vent'anni a questa parte i giornaloni hanno finito per defraudare i propri lettori che pian pianino li hanno abbandonati al loro triste destino (perdita di migliaia copie).

A forza di fustigare fino alla noia le Caste (altrui) - senza pestare i piedi ai padroni che adesso per ricompensa li rottamano e li lasciano in tele di braga (vedi la fuga dal ‘Corriere' dei suoi azionisti-imprenditori che possono fare a meno di un quotidiano che politicamente ormai pesa quanto una mosca) -, e a forza di cavalcare l'antipolitica, la stampa dei Poteri marci è sull'orlo del fallimento, non solo economico.

E senza, appunto, uno straccio di autorevolezza per orientare o per contare qualcosa nella Grande Crisi morale e istituzionale che, al momento, si è chiusa con una doppia "toppa": la riconferma di Bella Napoli al Quirinale e il ritorno di un democristiano doc, Enrico Letta, a palazzo Chigi.

Cabala nefasta a parte, la diciassettesima legislatura non avrà comunque una vita lunga nonostante i media si siano aggrappati, acriticamente e imbrogliando nuovamente le carte del gioco all'ultima scelta del Colle. Con Berlusconi mattatore e arbitro assoluto delle sorti del nuovo esecutivo, anche se questo non lo scriveranno mai a chiare lettere. Neppure sotto tortura.

Il che la dice lunga su chi parla - a vanvera - (Ostellino e altri) di "resa dei partiti" al presidenzialismo, magari "alla Napolitano". Enrico Letta, semmai, ha dato forma e sostanza a un "governo del presidente". Una formula che appartiene più al gergo giornalistico-parlamentare che a una prassi istituzionale. Il destino del nuovo esecutivo nella realtà (ignorata) dipende ancora dal voto di fiducia in aula delle Camere, non dai desiderata del Quirinale.

Un'opzione a sorpresa, l'indicazione di Enrico Letta, avvenuta con la regia discreta dello Zio Reggente (del Pdl), Gianni Letta. Un altro Dc d'annata tornato in auge proprio quando il suo ex partito di riferimento, il pesciolino bianco confluito nel mare inquieto post comunista, si mangiava i più grandi e possenti squali rossi del Partito democratico.

E come nel recente passato, i giornaloni, senza un minimo di vergogna (o di autocritica), si sono adeguati alla "novità". Così da offrire in visione ai propri lettori un film già visto nel novembre del 2011, dalla trama grigia e sgangherata. Quando Re Giorgio, piegando la testa di fronte ai diktat dei potentati europei, nominò, senza merito, l'economista fallimentare, Mario Monti, senatore a vita e, qualche giorno dopo, premier di un "esecutivo tecnico" che resterà negli annali tra i peggiori della lunga storia repubblicana.

Un disastro annunciato. Sia per le pesanti tossine sociali (povertà in aumento, esodati, disoccupazione, cassa integrazione, Imu etc) lasciate lungo il suo percorso che, alla fine, peseranno assai sul risultato delle future elezioni politiche: straripamento dei grillini soprattutto ai danni del Pd che aveva onestamente sostenuto Rigor Mortis senza immaginare che si sarebbe mutato in leader di un partito dei "civili" contro i presunti "baluba".

Sia per gli "strappi" istituzionali avallati inspiegabilmente dal Quirinale. Fino allo scioglimento anticipato delle Camere che, dando ascolto al sommo Eugenio Scalfari, avrebbero dovuto agevolare lo scioglimento ordinato dell'ingorgo istituzionale. E, soprattutto, avrebbe consentito a Bella Napoli d'indicare lui il premier che avrebbe inaugurato la diciassettesima legislatura. Tutti sappiamo invece che l'ingorgo si è straformato in una tempesta ingovernabile tale che Re Giorgio è stato costretto a conservare lo scettro quirinalizio per ancora qualche anno.

Un capo dello Stato che poi sarà ripagato con il "tradimento" del Professor Bocconi (amari). Da arbitro della contesa (elettorale), poiché rimasto a palazzo Chigi (abusivamente grazie ancora a Re Giorgio), Monti entrerà a piedi uniti nella competizione uscendone impietosamente con le ossa rotte da Grande Sconfitto.

Sì proprio lui, il Rigor Mortis. Il più amato dai media neppure fosse una cucina da sponsorizzare in tv. Il "salvatore della Patria" che alla fine del suo mandato può vantare solo il record del debito pubblico accumulato. La voragine che, con l'Imu e altre porcherie fiscali, doveva invece colmare. Ma nel maledetto anno montiano i vari Giavazzi, Alesina e Bragantini non hanno avuto il tempo di aggiornare le proprie agende (critiche).

Né Silvio Berlusconi, il premier uscente, né il suo impresentabile successore, Mario Monti, sono stati mai sfiduciati da un voto delle Camere. Di fatto esautorate. Una serie di salti mortali che, in altri tempi, avrebbe portato sui gradini della forca qualunque altro inquilino del Quirinale. Tant'è.

Bella Napoli, forte dei consigli del sommo fondatore de "la Repubblica" e dei lecca-lecca profusi sulle colonne del Corrierone, ha sciolto invece anzitempo il Parlamento per evitare, secondo una strategia rivelatasi un autentico boomerang, il cosiddetto l'"ingorgo istituzionale" (elezione del capo dello Stato e nuovo governo).

Prima della nascita a fine aprile del governo Letta, sessanta giorni dopo il voto anticipato -, esecutivo con una caratura fortemente di centro-destra nonostante il sostegno di quel che resta del Pd di Culatello Bersani -, c'è stato il lungo balletto dell'incarico a Bersani e la nomina dei saggi quirinalizi. Tanto per fare ammuina. Ormai prigioniero della sua strategia (sbagliata) e con un Parlamento ostile ai vari Marini e Prodi, Bella Napoli metteva fine alla tempesta provocata rinunciando all'annunciato (e desiderato) pensionamento.

E in questi due mesi turbolenti (altri ne sono annunciati), nel falò della stupidità in tanti hanno perso la faccia. L'elenco sarebbe lunghissimo. Dall'ex mezzo busto lottizzato di Telekabul, Corradino Mineo, nominato da Bersani (non eletto, grazie al Porcellum) che s'improvvisa franco tiratore, all'ex magistrato Gherardo Colombo, altro lottizzato Rai per conto del Pd nel consiglio d'amministrazione, che dichiara di voler stracciare la tessera del partito (che non ha mai preso) invece di dimettersi da viale Mazzini.

Per non dire del professor Stefano Rodotà che si è messo a mezzo servizio dei grillini, che volevano marciare su Roma, pur di scalare il colle più alto finendo fuori strada (e di testa). Forse ora si capisce meglio perché lo scrittore Karl Kraus spesso paragonava la politica alla prostituzione.

 

 

STRETTA DI MANO TRA MONTI E BERLUSCONI Napolitano - Berlusconinapolitano ed enrico lettaGIORGIO NAPOLITANO E MARIO MONTINAPOLITANO GALAN GIANNI LETTAFerruccio De Bortoli GIOVANNI BAZOLI FOTO ANSA Stefano Rodota CORRADINO MINEO - copyright Pizzi