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DA VACANZE ROMANE ALLA SVACCANZA DI ROMA - CAOS, CORRUZIONE E SPORCIZIA, ANCHE L’AMERICA NON AMA PIÙ LA CAPITALE - LA CITTÀ CHE DOVREBBE APPARTENERE A TUTTO IL MONDO, OGGI NON APPARTIENE PIÙ A NESSUNO (SOLO MARINO NON SE NE E’ACCORTO)

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Vittorio Zucconi per “la Repubblica”

 

Abbandonata a se stessa, sporca, pericolosa, infestata dal crimine, invivibile, caotica, affidata a un sindaco “onesto ma imbelle e isolato”, la Roma che il New York Times racconta in prima pagina ai propri lettori nel pieno della stagione turistica ferisce più delle grandi iniziali J e N incise sul travertino del Colosseo da due scioccherelle turiste americane in primavera.

 

Ma non scalfisce affatto il bronzo del sindaco Marino che imperturbabile licenzia la descrizione del naufragio di Roma attribuendola «a giornalisti, non a romani», forse trascurando i sondaggi che lo demoliscono. E gli umori ferini degli ormai non molti romani de Roma superstiti che vivono quotidianamente la deriva della capitale.

 

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Scontato subito il prezzo del nostro insopprimibile provincialismo, quello che ci spinge a leggere sui media stranieri sempre rivelazioni, saggezze e verità brucianti quando parlano male dell’Italia e degli italiani, le osservazioni che Gaja Pianigiani, l’autrice del pezzo, raccoglie sono, purtroppo, la visibile quotidianità che ogni abitante o visitatore di Roma vive.

 

E, come forse Marino non ha letto, la Pianigiani si affida alle parole proprio di giornalisti e osservatori italiani, anche per prevenire l’accusa di essere la solita “Ugly American”, la saccente turista mordi e fuggi che impugnando la propria carta di credito come una spada sfoga la propria frustrazione per una cena andata male o per un tassista scortese.

ROMA NEW YORK TIMESROMA NEW YORK TIMES

 

Non soltanto la collega del New York Times narra l’ovvio, che nel giornalismo universale è spesso quella verità che essendo troppo visibile nessuno finisce mai per narrare. Ma colpisce nel cuore di quella dolorosa schizofrenia di chi, come lei, o come chi vive a metà fra Italia e Stati Uniti vorrebbe disperatamente ancora amare quella meravigliosa creatura della Storia che i suoi amministratori, anno dopo anno, mettono a sacco, spogliano o trascurano, con la pigra o attiva complicità delle sue membra e corporazioni. Un relitto urbano dove anche l’illusione del “sindaco quasi americano”, di quell’Ignazio Marino che portava la promessa dell’uomo nuovo, avvezzo all’efficienza pragmatica Made in the Usa, è diventata la delusione del niente che funziona, aggiunge il Times.

 

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Sarebbe anche consolatorio, sempre per chi vive tra due mondi e quindi ha il privilegio di poter osservare pregi e magagne di entrambi senza mai sentirsene del tutto prigioniero o responsabile, ricordare che esattamente le stesse rampogne oggi lanciate contro Roma sono state, e in parte ancora sono, applicabili alla New York dove la “Lady in Grigio”, il Times, è pubblicato.

 

Caotica, soffocata dal traffico, afflitta da mafie multietniche, immigrati senza documenti e corruzione che spesso raggiunge i massimi livelli, come nel caso dell’assessore alla pubblica sicurezza Bernard Kerik condannato a quattro anni di carcere vero per otto reati, New York aggiunge i 328 omicidi del 2014 e i 160 dall’inizio di quest’anno. E vanta una spiacevole tendenza dei propri agenti di polizia a uccidere fermati e arrestati soprattutto se scuri di carnagione, qualcosa di cui almeno i pizzardoni romani non sono accusabili.

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Ma se un quotidiano considerato serio sceglie di dare tanta rilevanza a un reportage che devasta insieme l’amatissima città e il suo sindaco, è perché il Sacco di Roma, la nuova barbarie dei trasporti pubblici, la cancrena della corruzione più squallida, feriscono un amore.

 

Non è livore, ma è groppo in gola, non è polemica elettorale, ma è sbigottimento di profanazione quello che anima il Times e che chiunque di noi viva a cavallo fra i due mondi avverte. Roma, vuol dire il New York Times e sappiamo noi pendolari tra i due continenti, è una città senza più orgoglio di sé. Una meravigliosa nave alla deriva e senza scialuppe di salvataggio, nel gorgo di rivelazioni, grida, inchiesta, denunce e chiacchiere di chi non offre altre soluzioni che prendere il posto di chi li ha preceduti.

 

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Nel gomitolo della tante piccole cose che non vanno, dalle sterpaglie sulle sponde del Tevere dalle quali si cerca di pescare come illustra la foto di accompagnamento al calvario dell’Atac, che formano la massa critica dell’insopportabilità, dal caos di un aeroporto internazionale sconvolto da un modesto incendio al disastro del traffico stradale, il New York Times tenta la strada di quello che gli psicoterapeuti chiamano il “Tough Love”, l’amore che smette di accettare tutto e perdonare tutto, ma dice basta e chiede conto e serietà.

 

Perché quella città, che dovrebbe appartenere a tutto il mondo, oggi non appartiene più a nessuno. Dalle Vacanze Romane si è arrivati alla Vacanza di Roma, una città dove nessuno custodisce più gli stessi custodi, come già sapeva Giovenale che pure non scriveva per il New York Times.

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