DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1.“OSTAGGI, OBAMA SAPEVA MA NON LO DISSE A RENZI”. PASTICCIO DIPLOMATICO SULLA MORTE DI LO PORTO
Federico Rampini per “la Repubblica”
«Le mie preghiere sono per Giovanni Lo Porto e i familiari », dice Barack Obama. Ma un pasticcio diplomatico con l’Italia si aggiunge alla débacle dell’intelligence Usa. E’ la scelta apparente del presidente americano di non informare Matteo Renzi sulla morte dell’ostaggio, già nota venerdì scorso quando il premier italiano fu ricevuto alla Casa Bianca. Qui in America le polemiche si concentrano sull’uso dei droni, gli “omicidi a distanza”, gli errori a ripetizione e l’alto numero di vittime innocenti. Più un dettaglio macabro e crudele: la famiglia dell’ostaggio americano, Warren Weinstein, pagò un riscatto di 250mila dollari, probabilmente dopo che era già morto.
RENZI ALLA CASA BIANCA.
Venerdì 17 aprile il presidente Consiglio veniva ricevuto allo Studio Ovale. Obama sapeva già che il drone Usa aveva ucciso due ostaggi, tra cui l’italiano. Una versione, del New York Times , che crea imbarazzo a tutti. Eccola: «La settimana scorsa i vertici dell’intelligence Usa ebbero il più alto livello di certezza nel collegare le morti di Weinstein e Lo Porto all’attacco del drone. Obama tolse il segreto di Stato sull’episodio, ma non disse nulla al primo ministro italiano in visita alla Casa Bianca».
Un trattamento irriguardoso verso un alleato. Mancanza di rispetto? La confusione è aumentata ieri quando sulla vicenda è tornato a parlare Josh Earnest, portavoce di Obama. Alla domanda se ci fosse stato un accenno alla morte di Lo Porto in occasione della visita di Renzi, Earnest ha risposto: «C’è stata la telefonata diretta tra i due mercoledì sera. Se ne abbiano parlato quando Renzi era qui, non lo so». L’ipotesi è che le informazioni sulla tragedia avvenuta in Pakistan circolassero già a livello di servizi.
TRE MESI PER SAPERE?
Il pasticcio tra Renzi e Obama s’inserisce in una polemica più generale, che negli Stati Uniti investe la lentezza con cui è emersa la verità sulla tragica fine degli ostaggi. Più di tre mesi dalla loro uccisione per errore, avvenuta il 15 gennaio, e l’annuncio ufficiale. C’è stata una reticenza deliberata? Un tentativo d’insabbiare le responsabilità? Per ora le versioni più diffuse puntano il dito sull’inefficienza dell’intelligence americana, che Obama ieri ha difeso definendola «la migliore del mondo». Per raccogliere informazioni sul terreno, in quelle zone del Pakistan, la Cia usa le riprese dei droni e dei satelliti dai cieli, le intercettazioni, e qualche informatore sul terreno.
C’è voluto il funerale delle vittime — sei corpi anziché i quattro che si aspettavano — per far scattare un allarme. Poi alcune testimonianze sulla presenza di «cadaveri di occidentali». Ritardi e incertezze si spiegherebbero con un’intelligence molto approssimativa, assai distante dalla mitologia di Big Data. «Fantasie di precisione», le definiscono gli esperti. Ovvero delirio di onnipotenza.
LO STUPORE DELLA CIA.
Sui media americani i consiglieri della Casa Bianca hanno ricostruito le varie fasi della “scoperta” dell’errore. I droni che successivamente al blitz del 15 gennaio sulla valle di Shawal filmano «sei bare, due funerali di troppo rispetto a quelli che si aspettavano». Gli informatori e testimoni locali messi sotto pressione, che parlano di «occidentali morti». Le prime notizie sulla morte di Weinstein e Lo Porto, «non collegate inizialmente al drone americano». L’impossibilità di inviare spie umane sul terreno. Il terribile sospetto che i due ostaggi fossero stati introdotti nel covo di Al Qaeda in un momento di blackout della sorveglianza aerea.
LA “QUASI CERTEZZA”.
Il portavoce di Obama lo ha ribadito ieri, il criterio con cui vengono autorizzati i blitz dei droni è quello della «quasi certezza» che i bersagli siano terroristi attivamente impegnati a preparare attentati contro l’America o i suoi alleati. «Obama lo disse nel suo discorso alla National Defense University due anni fa — ha ricordato Earnest — la certezza assoluta non è possibile se non hai scarponi sul terreno, truppe americane in loco». Quando un gruppo di presunti terroristi è sotto sorveglianza, spesso la raccolta di informazioni riguarda i cosiddetti “metadati” sui loro movimenti, i contatti, i destinatari di telefonate, le abitudini di vita.
OBIEZIONI COSTITUZIONALI.
Tra le critiche più dure c’è quella che riguarda l’assassinio di cittadini americani, anche quando si sono arruolati nelle fila di Al Qaeda o dello Stato Islamico. La Costituzione prescrive che abbiano un giusto processo, non un’esecuzione sommaria. Earnest riferisce la risposta di Obama: «Un terrorista che complotta attivamente contro l’America non può farsi scudo di un passaporto americano; così come un criminale che punta un’arma contro i cittadini non è al riparo dai tiratori scelti della polizia». La giustificazione legale ha avuto un’evoluzione dai “ targeted killing” ai “ signature strike ” della Cia. Il caso del Pakistan è speciale, lì la Cia è autorizzata a colpire senza neppure co- noscere le identità dei bersagli.
CAMBIO DI POLITICA?
Dopo l’uccisione per sbaglio di Weinstein e Lo Porto, Obama ha annunciato un “ policy review ”, cioè un riesame della politica dei droni. Riesame non significa che l’esito sarà un cambiamento. Obama promise molto di più nel suo discorso del 2013: uno “ scale back”, netto ridimensionamento della campagna dei droni. Non è andata così. E l’opinione pubblica lo sostiene: la guerra robotizzata dai cieli viene preferita rispetto alla guerra sporca che fa morti e feriti, traumi e invalidi a vita tra i soldati americani.
Anche a sinistra, lo conferma un sondaggio della Msnbc . Sono minoritarie le associazioni per i diritti umani come l’American Civil Liberties Union che denuncia: «Non sappiamo neanche chi ammazziamo e perché. Tra le regole fissate per l’uso dei droni, e la realtà, c’è un divario sostanziale. E fa notizia la tragica fine di ostaggi occidentali, ma si dimenticano i tanti civili di quei paesi che sono stati uccisi dai droni».
2. I DUBBI SUI NOSTRI SERVIZI SEGRETI CHI HA DATO LA PROVA PER IL DNA?
Fiorenza Sarzanini per “Il Corriere della Sera”
Ci sono almeno due punti oscuri nella versione ufficiale fornita dal governo italiano sull’uccisione di Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano rapito nel gennaio 2012 a Multan, al confine tra Pakistan e Afghanistan. Due interrogativi che il Parlamento rivolgerà al sottosegretario con delega ai servizi segreti Marco Minniti, convocato davanti al comitato di controllo per martedì.
Perché vanno chiariti i reali rapporti del nostro Paese con gli Stati Uniti, soprattutto bisogna capire come mai, mentre l’Italia si impegnava — nei colloqui ufficiali avvenuti la scorsa settimana a Washington — a rimanere al fianco dell’alleato in Afghanistan, il presidente Barack Obama non abbia ritenuto di dover condividere con il presidente del Consiglio Matteo Renzi ogni passaggio di quanto stava accadendo. E se invece l’ha fatto, si deve comprendere come mai il premier e il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni abbiano deciso di negarlo.
matteo renzi barack obama fotografati da filippo sensi
Si torna dunque a ieri mattina quando — prima della relazione del ministro degli Esteri alla Camera — circola l’indiscrezione secondo la quale nel corso dell’incontro avvenuto il 17 aprile scorso nello studio Ovale della Casa Bianca, Obama abbia anticipato a Matteo Renzi la possibilità che un ostaggio italiano fosse rimasto ucciso nei raid.
Circostanza ufficialmente negata, ma rilanciata dopo la dichiarazione rilasciata ieri sera dal premier italiano alla trasmissione de La7, Ottoemezzo : «La certezza che i due corpi fossero quelli dei due cooperanti noi l’abbiamo avuta mercoledì e credo che anche gli americani l’abbiano saputo mercoledì». «Certezza», dunque conferma a un sospetto già noto.
Ma perché negarlo? Il fatto che la morte risalga al gennaio scorso sta creando non pochi imbarazzi. Perché comunque nulla risulta essere stato detto prima del 17 aprile, eppure è accertato come da settimane gli Stati Uniti si stessero occupando della vicenda ed è fin troppo evidente che abbiano deciso di non affrontarla con l’Italia.
Eppure sono state compiute numerose verifiche, addirittura è stato effettuato un esame comparativo del Dna per accertare che si trattasse proprio di Giovanni Lo Porto. Ma anche su questo si sarebbe deciso di mantenere il segreto. E allora chi ha fornito ai servizi segreti statunitensi il reperto per effettuare la comparazione sul codice genetico? Possibile che nessuno nel nostro Paese ne sapesse nulla?
E qui si arriva al secondo punto. Gli 007 italiani erano stati informati che Lo Porto poteva essere tenuto prigioniero insieme a Warren Weinstein, l’anziano americano rapito successivamente? La collaborazione tra i servizi di intelligence ha previsto uno scambio informativo sugli ostaggi oppure, come spesso avviene in questi casi, gli Stati Uniti si sono mossi in totale autonomia, addirittura celando ai nostri 007 notizie preziose?
Le ultime informazioni fornite dai vertici dell’Aise al Copasir su Lo Porto risalgono al dicembre scorso. Gli 007 avevano assicurato di aver ricevuto la conferma che era ancora vivo, pur non potendo fornire notizie ulteriori sulle sue condizioni di salute. Del resto già agli inizi del 2014, quando erano stati recapitati a distanza di poche settimane due video, compariva molto provato.
Fino ad allora gli agenti segreti si erano mossi in collaborazione con i colleghi tedeschi. Tutto era però cambiato il 10 ottobre scorso quando il collega Bernd Muehlenbeck era stato liberato. Mentre Giovanni Lo Porto è stato probabilmente ceduto a un nuovo gruppo terrorista e poi ucciso nel raid statunitense.
3. MA I DRONI NON SONO IL VERO NEMICO
Alessandro Sallusti per “Il Giornale”
Penso ci sia un nesso tra l'isolamento politico in cui si è cacciato Matteo Renzi dentro e fuori il suo partito e le difficoltà che l'Italia sta incontrando sul piano internazionale. Il fallimento del vertice europeo sull'emergenza sbarchi (ci hanno liquidato con una mancia) e lo schiaffo di Obama che ha tenuta nascosta la morte di un nostro cooperante, sono solo gli ultimi episodi che dimostrano quanto in poco conto siano tenuti i diritti e le necessità dell'Italia monocolore renziana financo da amici e alleati. Probabilmente su questo terreno Renzi paga dazio alla sua veloce ascesa e conseguente inesperienza. Da sindaco a premier senza passare neppure per il Parlamento, o per un'ora di lavoro, può entusiasmare i tuoi fan e illudere parlamentari in fuga da partiti allo sbando.
Ma è cosa, direi curriculum, che lascia perplessi i grandi del mondo, abituati a interlocutori di ben altra autorevolezza. Parliamo di leader solidi e scafati, alcuni con alle spalle decenni di esperienza ai massimi livelli, capi o membri di lobby che decidono i destini di miliardi di persone.
E noi a tanto cosa contrapponiamo? Un premier simpatico e caciarone che si porta appresso la lobbina di giovani consiglieri comunali, amici di calcetto e vigilesse sveglie con la quale governava - secondo alcuni pure male - il Comune di Firenze. Ovviamente non può esserci partita. Qualche italiano Renzi ancora lo può stupire con battute (peraltro scritte da altri) ed effetti speciali in tv di fronte a conduttori per lo più compiacenti. Ma quando mette piede fuori dall'Italia, la musica cambia. Grandi cortesie, grossi sorrisi, ma l'uomo evidentemente non c'è. Per non parlare dei suoi ministri. Quelli degli Esteri, prima la Mogherini e ora Gentiloni, sono pesi piuma, la cattiva fama di quello dell'Interno, Angelino Alfano, ha superato i confini nazionali.
RENZI ALLA GEORGETOWN UNIVERSITY
Renzi e il suo governo ricordano quelle squadre di calcio che in campionato fanno scintille ma in Champions League non vanno oltre i preliminari. Simpatiche, appunto, ma senza storia e senza futuro.
Da che mondo è mondo la politica estera non è questione di partito ma di Stato, non di anagrafe ma di esperienza, non tiene conto di divisioni ma cerca l'unità. Se invece, come sta accadendo, uno continua a comportarsi come se fosse sindaco, quando arrivano Obama e la Merkel non puoi che metterti a servizio. E i risultati si vedono.
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