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Nicola Pinna per “La Stampa”
Dieci afghani e pakistani, accusati di terrorismo, sono stati arrestati ieri in tutta Italia. Secondo l’inchiesta della procura di Cagliari i 18 estremisti islamici contro cui è stato spiccato un mandato di cattura (otto sono riusciti a fuggire) avrebbero fatto parte della struttura di Al Qaeda e in passato avrebbero parlato direttamente con Bin Laden e con sua sorella, a cui rendevano conto degli attentati compiuti.
I 18 sono considerati pedine importanti: uomini di fiducia con l’incarico di studiare attacchi nei Paesi di origine e reperire risorse. Inoltre a marzo 2010 avevano fatto arrivare a Fiumicino due giovani addestrati e pronti al sacrificio estremo: «Non kamikaze qualunque», dicevano tra loro mentre erano intercettati. Avrebbero dovuto colpire in Vaticano (questo sostenevano nelle loro conversazioni), ma una perquisizione della Digos di Sassari sarebbe servita a far capire agli islamisti che la polizia stava già alle calcagna.?
Il progetto quella volta era saltato, ma nel frattempo la banda sgominata ieri mattina era riuscita a studiare e mettere a segno parecchi blitz. Soprattutto in Pakistan: il sabotaggio di linee elettriche, una bomba nel mercato di Dera Murad Jamali, il sequestro e l’omicidio di quattro poliziotti, l’attentato in una scuola. E poi l’attacco al mercato di Peshawar a ottobre 2009: oltre cento morti nel giorno della visita di Hillary Clinton.
Uno del gruppo, per l’occasione, era partito dall’Italia alla volta del Pakistan e aveva assistito di persona alla strage, rischiando persino di lasciarci le penne. Tornato in Italia, se ne era lamentato direttamente con i capi.?«Mandato da Osama»?Gli jihaidisti rispondevano agli ordini e alle idee di Hafiz Muhammad Zulkifal, pachistano di 43 anni, che si era stabilito a Bergamo dopo aver fatto proseliti tra Cagliari e Olbia. Diceva di essere stato «mandato in Italia da Osama» e in Lombardia era diventato un Imam seguitissimo.
In Sardegna vivevano e operavano altri tre personaggi al vertice. Uno contava più di tutti: Sultan Wali Khan, 39 anni, anche lui pachistano, a Olbia gestiva un bazar e un’impresa edile ben radicata: nel 2009 era stata incaricata di eseguire alcuni lavori nei cantieri del G8 mancato a La Maddalena.
L’inchiesta si è conclusa con 18 ordinanze di custodia cautelare: 10 sono stati arrestati a Olbia, Roma, Foggia, Sora, Bergamo e nelle Marche, 2 sono ricercati in Italia, 6 son tornati in patria. ?
L’occupazione principale del gruppo era la raccolta di denaro. La colletta avveniva con due metodi: le donazioni degli immigrati a favore di finte associazioni benefiche o l’arrivo di clandestini. Il traffico di esseri umani era il business più fiorente: c’erano “gli agenti” e i reclutatori. Quelli che procuravano i documenti falsi e gli imprenditori compiacenti che offrivano contratti di lavoro per agevolare il flusso degli stranieri.
E poi, ovviamente, c’erano loro: i pachistani e gli afgani che pagavano 6 o 7 mila euro per sbarcare in Italia. Finivano a Olbia, Firenze, Roma e Novara, trovavano un appartamento disponibile e anche un telefono con tanto di sim. ?L’Imam di Bergamo è anche accusato di aver commissionato l’omicidio di una coppia di connazionali (avvenuto in Lombardia) colpevole di aver violato le leggi coraniche andando al mare in costume da bagno. I corpi non sono mai stati trovati ma al telefono con i killer Zulkifal si lamentò per le foto scattate ai cadaveri.
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