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Paola Del Vecchio per il Messaggero
Il silenzio non vale. Così come non valgono risposte ambigue, del tipo: «Una dichiarazione di indipendenza non comporta subito la creazione di una Catalogna indipendente, né la sua continuità o esclusione dalla Ue», come recitava il testo inviato ieri dalla vicepresidenza all'economia della Generalitat alle sue ambasciate all'estero, per rassicurare che i depositi nella regione sono garantiti, nonostante la fuga in massa di banche e risparmiatori. Entro stamattina alle 10, Carles Puigdemont dovrà rispondere alla domanda semplice e diretta del governo di Mariano Rajoy: «La Catalogna ha dichiarato l'indipendenza?». Sì o no, dentro o fuori.
LA RISPOSTAUn no riporterà indietro gli orologi alla legalità costituzionale e all'apertura di un dialogo con Madrid. Un sì farà scattare l'applicazione dell'articolo 155 della magna carta: tempo fino a giovedì per la rettifica, Rajoy porterà al Senato - dove ha maggioranza assoluta e l'appoggio di Psoe e di Ciudadanos - un piano per commissariare la regione e convocare elezioni nel giro di 3-6 mesi. Alla vigilia del verdetto, Puigdemont ha evitato di dare piste. A Montjuc, nell'omaggio a Lluis Companys, fucilato 77 anni fa dai franchisti, si è detto ispirato dall'esempio del suo predecessore, che nel 1934 proclamò lo Stato catalano, per poi essere arrestato con i ministri 11 ore dopo.
IL MESSAGGIO«In un momento come questo, in un luogo come questo e in un giorno come questo, riaffermiamo l'impegno per la pace, il civismo, la serenità e anche la fermezza e la democrazia, come valori ispiratori delle decisioni che dobbiamo prendere», ha dichiarato Puigdemont. Difficile leggervi un serrare le fila con la linea moderata marcata dal suo padrino politico, Artur Mas: sì, però no. «L'indipendenza arriverà solo grazie al riconoscimento internazionale o non sarà. Senza, sarebbe solo estetica», ha avvertito Mas.
Indicando l'obiettivo: elezioni costituenti, in una lista unica del fronte indipendentista, in chiave di plebiscito.
Elezioni che sembrano inevitabili. Il dilemma è chi le convocherà, dato che per legge spetta al presidente catalano sciogliere il Parlament e chiamare alle urne. Il governo di Rajoy pondera, con l'aiuto di costituzionalisti, i diversi scenari per l'applicazione del 155.
LE OPZIONIStarebbe valutando due possibilità: un esecutivo catalano di unità nazionale, con tutti i partiti, guidato dall'ex presidente socialista dell'Eurocamera Josep Borrell; oppure uno tecnico di gestione, guidato dalla vicepremier Soraya de Santamaria. In entrambi i casi, sostituirebbe in blocco il governo di Puigdemont, senza soppiantare organismi della Generalitat, avocando le funzioni di presidente e ministri.
Ma restano grossi dubbi sul fatto che i partiti indipendentisti possano accettare questa legalità e partecipare alle elezioni, con il paradosso che il futuro Parlament nascerebbe con un deficit di rappresentanza soberanista. Madrid teme, inoltre, la risposta dei secessionisti radicali e la deriva del conflitto. In un manoscritto sequestrato il 20 settembre dalla guardia civile in casa del segretario del Fisco del governo catalano, Salvadò, si parla di scenario di guerra o di guerriglia e si contempla la sospensione dell'autonomia regionale.
Le fessure nella galassia secessionista, di forze ideologicamente agli antipodi, sono divenute crepe. Per l'anticapitalista Cup il tempo è già scaduto. Senza proclamazione della Repubblica, è pronta a ritirare i 10 deputati vitali per la sopravvivenza del governo. Esquerra Republicana, col vicepremier Junqueras ha fatto appello all'unità, senza uscire dall'ambiguità. L'Assemblea Nazionale Catalana, il motore secessionista che pure perde colpi, guidato da Jordi Sanchez e Jordi Cuixart - oggi, nuovamente interrogati all'Audiencia Nacional, rischiano l'arresto per sedizione - esige l'esecuzione della transizione allo stato proprio. Ma se dovesse imporsi la ragione, come invocano Ue e Washington, Puigdemont potrebbe portare a casa un negoziato con Madrid: su che basi?
Una riforma costituzionale, che il leader socialista Sanchez è riuscito a strappare a Rajoy. E sulle 46 rivendicazioni del govern opresentate a luglio da Puigdemont al premier alla Moncloa, che gli chiuse allora la porta, perché la prima riguardava proprio una consultazione negoziata. Che alla maggioranza di catalani e spagnoli continua a sembrare il male minore.
MANIFESTAZIONE CONTRO L'INDIPENDENZA DELLA CATALOGNARAJOY
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