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Franca Giansoldati per Il Messaggero
Il corvo ha iniziato a cantare. Stavolta per davvero. Davanti agli avvocati e ai magistrati vaticani il maggiordomo starebbe «collaborando pienamente» proprio come avevano promesso i suoi legali all'indomani dell'arresto.
Paolo Gabriele, dunque, non esita a fare ammissioni importanti, mescolandole a nomi, episodi e riferimenti specifici che vengono prontamente messi a verbale e che serviranno da base per la seconda fase delle indagini, stavolta sul suolo italiano, dopo che le rogatorie per altre quattro persone (ma forse potrebbero essere di più) partiranno dalla Segreteria di Stato per approdare alla nunziatura in via Po e da lì, attraverso una nota verbale, al ministero degli Affari Esteri il quale, a sua volta, provvederà ad inoltrarle a Via Arenula e alla Procura.
Questo è l'iter delle prossime mosse mentre al di là del Tevere l'ex maggiordomo affianca gli inquirenti aiutandoli a definire i contorni della rete dei corvi. Cosa non del tutto semplice perché mancherebbe ancora il terzo livello, la vera regia. L'uomo che si trova in carcere da quasi due settimane, in una delle quattro cellette provviste di crocifisso alla parete e Vangelo sul comodino, pensa al suo futuro.
Ha moglie e tre figli da crescere e, di sicuro, non gode di una posizione economica tale da consentirgli di vivere di rendita per i prossimi anni. Paolo Gabriele ha manifestato il desiderio di tornare a casa al più presto e riabbracciare i suoi cari. Dicono sia sereno anche se provato da questo passaggio.
In serata si era diffusa la voce che potesse lasciare il territorio vaticano, ma padre Lombardi ha smentito categoricamente questa «elucubrazione priva di ogni fondamento», così come ha smentito il fatto che per un certo periodo di tempo avesse fatto il doppio gioco («cosa assolutamente infondata»).
In ogni caso la macchina della giustizia vaticana è a un passaggio cruciale. Adesso si deve attendere la sentenza del giudice e il possibile rinvio a giudizio di Paolo Gabriele. Secondo i codici in uso al di là del Tevere per quello che ha fatto - sottrazione indebita di documenti riservati dal tavolo papale - «rischia tutto sommato poco», fino a otto anni. Il giudice Paolo Papanti Pelletier, ordinario di diritto civile a Tor Vergata, ha spiegato che se mai gli verranno contestati altri reati avrà una pena «leggermente aumentata».
Per ora il reato di base resta la sottrazione indebita di documenti, ma fanno capolino la rivelazione di segreti politici o di Stato. Il Papa in virtù di un suo sincero pentimento potrebbe perdonarlo, cosa non esclusa oramai da nessuno. Benedetto XVI desidera arrivare alla regia (esterna) dei «violenti attacchi contro la Santa Sede e il Papa», come li ha definiti il cardinale Bertone in tv.
Una vicenda dai contorni ancora oscuri che preoccupa persino il premier Mario Monti che si è detto «stupito e profondamente addolorato» sia per lo scandalo provocato presso i fedeli, che per l'afflizione arrecata al Papa.
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