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Francesco Specchia per "Libero"
Fa notare che l'arancione non è solo il colore di Giggino, ma pure quello dei bonzi che si danno fuoco così, giusto per seguire un ragionamento. «...Perché, insomma, è come se, per liberarsi di Robespierre, uno chiamasse Torquemada», fa notare un esponente del Pd rassegnato alle usuali, bizzarre alleanze strategiche del partito. Il suo commento è alla notizia estratta dal Corriere del Mezzogiorno: l'inesausto Enrico Letta vicepresidente del Pd progetterebbe, nel prossimo listone elettorale, l'entrata dell'amico Luigi De Magistris in sostituzione di Antonio Di Pietro.
E forse non è un caso che tale alchimia politica ribollisca proprio mentre la comunistissima giunta Doria di Genova sta per sostituire i suoi elementi Idv con new entry Udc, su spinta dei democrat locali. Sicché la foto di Vasto, rischia oggi davvero di diventare un dagherrotipo, il ricordo livido ed antico di un'alleanza che fu.
«Mi hanno detto di quest'idea di sostituire la foto di Vasto con quella di Dro, con Luigi De Magistris al posto di Antonio Di Pietro. à una buona battuta», aveva anticipato qualche giorno fa lo stesso Letta a Vedrò, il suo meeting trasversale, il think tank - anzi il drink tank come lo chiama Dagospia - della sinistra oramai under 50.
Proprio tra le montagne rilassate e l'aria rarefatta di Vedrò Letta aveva srotolato la propria strategia. De Magistris, infatti, era stato piacevole ospite in uno dei più seguiti workshop del ritrovo trentino: quello sulla corruzione, assieme al presidente della sua regione Caldoro, al magistrato Cantone e, perfino, al ministro Patroni Griffi.
De Magistris a Vedrò era coccolatissimo; s'aggirava tra i tavoli della porchetta e del chinotto; stringeva mani; gli era stato offerto perfino un posto nella squadra lettiana, nella mitica partita di pallone di fine kermesse.
Il tutto mentre, qualche metro più in là , il portavoce di Matteo Renzi si sorbiva - a causa delle intemperanze antibersaniane del capo - uno di quei cazziatoni amabili come solo il moderato Letta sa porgere. Del resto, lo stesso De Magistris da tempo appare ormai diviso tra l'appartenenza all'Italia dei Valori e il distacco abbastanza conclamato con il suo leader Di Pietro.
E, vista così, l'idea di arruolare Giggino per rastrellare «i settori più massimalisti della sinistra in funzione antigrillina e anti-dipietrista» non sarebbe affatto peregrina. Anche perché, poi, De Magistris, abbandonato il proposito forse eccessivo di fondare una sua «Lista Arancione», rappresenta tuttora una porzione significativa di quel «partito dei sindaci» che da Emiliano a Renzi, da De Luca allo stesso Tosi potrebbe catalizzare endorsement e preferenze nel casino dei prossimi mesi elettorali.
Letta aveva confermato: «Ritengo che De Magistris sia una risorsa del centrosinistra che va spesa, perché i sindaci devono giocare la partita del centrosinistra. In particolare, quello di una città importante del Mezzogiorno, come Napoli, è una risorsa importante per il nostro schieramento». Per il braccio destro di Bersani, insomma, De Magistris è l'«asso nella manica». Il fatto che l'abbia detto mentre indossava una polo smanicata disvela, però, il limite della metafora.
Perché, in realtà , a sinistra non c'è nulla di più antogovernativo del sindaco di Napoli. Che rifiuta a priori la spending review e il fiscal compact, massacra sistematicamente ogni tentativo di riforma della Fornero, dichiara la guerra ideologica a Marchionne, appoggia le patrimoniali e il mito delle assemblee di popolo (anche se poi decide sempre lui specie in tema di acqua, rifiuti, istruzione, trasporti, ricerca, credito ecc...).
Il rischio paventato dall'anonimo esponente del Pd di cui sopra è che a fianco del montiano, riformista e liberaleggiante Bersani, verrebbe dunque schierato uno che dice tutto il contrario di Bersani; e che viene reclutato proprio per dire tutto il contrario di Bersani.
Senza considerare che, in virtù del suo strabiliante giustizialismo, lo stesso De Magistris sarebbe tra i sostenitori di una fantomatica «opzione Ingroia for President» appoggiata dal Fatto Quotidiano, dallo stesso Di Pietro, da una parte di Repubblica. In buona sostanza, per il Pd si verrebbe a riproporre l'alleanza d'appoggio e autonoma che Walter Veltroni propose a Di Pietro nel 2008. Un modo assai arzigogolato per portare voti. A Renzi, però.
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