AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Pierangelo Sapegno per "la Stampa"
Davanti a questo cumulo di macerie, quello che fa più effetto è l'edificio quasi intatto, dietro alla stessa cancellata, come se questo terremoto avesse voluto colpire prendendo la mira.
Quel che si vede non è più la Ceramica Sant'Agostino. Ma lungo queste strade, sbrecciate dalla terra, riempite di tagli e di rifiuti disseminati disordinatamente sul ciglio, tutto quello che si vede non è più quello che era prima. E' stato ferito il lavoro, assieme all'arte, assieme alle case sfollate. In provincia di Ferrara, secondo Giuliano Guietti della Camera del Lavoro, «sono circa mille i lavoratori che adesso sono fermi, che non possono ripartire».
Nel Modenese, dice Donato Pivanti, «fra i tre e i quattromila a rischio». Perché le scosse venute dalla Terra hanno sfracellato un panorama industriale, hanno capovolto una cultura della fatica, hanno abbattuto i capannoni e la produzione. La Cgil dice che le inchieste della magistratura, che sono appena state avviate ufficialmente, «dovranno spiegarci qualcosa». Anche Vasco Errani, il presidente della Regione, un po' lo lascia intuire: «Dovremo fare delle valutazioni sulla base di dati reali per capire che cosa è successo». Ma il prefetto Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, è molto più netto: «Che nel 2012 crollino coperture di capannoni costruite negli Anni 2000, deve far riflettere più di tante cose».
Come sempre di più succede in Italia, sarà la magistratura a darci una risposta. Ma quello che si vede davanti ai nostri occhi, lascia l'idea di un incubo ancora peggiore. La Ceramica Sant'Agostino è il colosso industriale di questo piccolo centro nato fra i campi di grano, con i suoi 380 dipendenti. Se il terremoto fosse arrivato con il giorno, le vittime sarebbero state un esercito di uomini e donne. Di fronte, scorgiamo un cartello con la scritta "doccia" in maiuscolo nero, l'orologio di una macchina.
Quel che si vede non è più la Ceramica Sant'Agostino, è un edificio ripiegato su se stesso come per un'esplosione, brandelli di mura e scheletri di ferro intrecciati senza una logica, le grandi placche di cemento scompostamente ammucchiate una sopra l'altra, accanto a delle liste grigie e verdi che paiono sormontarle. Poi c'è un altro palazzo di cemento e vetri disposto orizzontalmente su uno spiazzo di terra arida, di fronte a prati e fiori. I danni devono essere enormi. L'azienda Lodi di Mirabello ci dice di averne «per 7 milioni, con due capannoni distrutti».
Qui, di fronte ai nostri occhi, è come se fosse crollato tutto. Ieri, sui marciapiedi, attorno a Romana Fiorini, la mamma di Bruno Cavicchi, uno degli operai morti, e alla sua fidanzata, con i jeans, la borsa celeste e la faccia gonfia di dolore, c'era una comunità intera in lacrime, e faceva un certo effetto, come di una famiglia. Da queste parti è davvero così. Ma da dove si potrà ripartire adesso?, da quale ferita?, da quanti dubbi? Il terremoto ha ucciso anche questo senso di comunanza.
Le aziende dell'Unindustria di Ferrara ci spiegano che non hanno ancora fatto calcoli precisi, ma che ci saranno danni per 150 milioni. Una goccia nel mare. Alla fine, sarà tutto molto più grande e molto più grave. Come questa fabbrica devastata, richiusa nelle sue macerie come un mazzo di carte afflosciato, che chissà quando potrà riprendere la sua attività . Ci sono macchine ferme diagonalmente rispetto ai marciapiedi.
Giù, dove le strade si incrociano, un agente è piantato in mezzo alla strada, illuminato ritmicamente ogni volta che le luci gli passano sopra. I tubi flessibili si allungano sul marciapiedi, alcuni sgonfi come lunghe gambe di pantaloni di tela e altri grassi come cobra, sibilanti e schizzanti alle giunture. Un rigagnolo d'acqua è nero e vorticoso, alimentato dalla pioggia che continua a cadere. Non c'è nessuno che dica «questa è casa mia».
Guardiamo i calcinacci, pezzi di legno spezzato, lamiere di colore azzurro, un tetto storto verso il basso, due pilastri rimasti in piedi fra le macerie, il compensato e i mattoni rotti, una maglia celeste, una tuta, porte verdi spalancate su mucchi di macerie, finestre infrante, un barile con la scritta "Azoto".
Una parete grigia leggera come una tenda che si è aperta sul cortile rovesciando mattoni, casse e cassette, polistirolo e chissà che cosa. Come a Dosso, qualche chilometro da qui, alla Tecopress, fabbrica di lamierati per macchine, le sue mura spezzate, le tubature bianche dentro e gialle fuori, tutto un mondo del lavoro spezzato fotografato così, da una tragedia. Nel tempo che cambia, anche questa è l'immagine dolorosa di una sconfitta.
TUTTI IN STRADA DOPO IL SISMA FOTO ANSA MACERIE FINALE EMILIA FOTO ANSA GLI SFOLLATI FOTO ANSA AUTO DISTRUTTA FINALE EMILIA FOTO ANSA I PRIMI SOCCORSI AI FERITI FOTO ANSA MALATI EVACUATI DALLOSPEDALE FOTO ANSA TENDOPOLI FOTO ANSA PALAZZO DI FINALE EMILIA CROLLATO TERREMOTO FERRARA IL CAPANNONE SOTTO CUI SONO MORTI QUATTRO OPERAI DEL TURNO DI NOTTE la torre dell orologio di finale emilia
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