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Oliviero Beha per il "Fatto quotidiano"
Istruzioni per l'uso di questa nota. Non è ovviamente un articolo che manchi di rispetto alle vittime, o che leda il sacrosanto diritto di parenti e istituzioni di chiedere giustizia. Non è a favore di Enzo Boschi a priori e contro i terremotati, né si inquadra nel derby mediatico che ha scatenato la sentenza de L'Aquila.
Non se la prende con la magistratura in generale, ma scapolando garantismi e giustizialismi prova a ragionare sulle incongruenze di una sentenza e cerca di mettere a fuoco il contesto in cui dopo la tragedia e i morti si è arrivati a questa condanna per omicidio colposo a 6 anni in primo grado per un gruppo di scienziati accorpati nella commissione Grandi Rischi tra cui, appunto, l'ex presidente dell'Istituto di Geofisica. Intanto, da una vita personale e professionale, uno come Boschi tiene insieme numeri apparentemente distanti.
C'è un'attinenza tra le vittime dei terremoti nel nostro Paese, nel quale per un sisma di magnitudo 6 (che avrebbe appena sfiorato il Giappone) muoiono in 309 e lo stato di corruzione permanente in cui versiamo con i Grandi Numeri e i Grandi Rischi che nel caso davvero conosciamo "scientificamente"? Sono certo di sì, il nodo è come vengono costruite le case, il malaffare contestualizzato che le rende carnefici sismiche troppo spesso, i giochi dei Piscitelli che ridacchiano a cadaveri caldi, l'invasività della malapolitica.
Tutto questo è noto, si obietterà , e rientra nella rabbia generalizzata contro uno Stato che permette o addirittura favorisce questa situazione, mentre oggi si parla della condanna degli scienziati sentenziata da un giudice. Che ha portato a 6 anni i 4 chiesti dall'accusa, e non ha fatto alcuna distinzione tra gli imputati, tutti nel calderone della commissione e colpevoli di aver trasformato le loro nozioni scientifiche in un messaggio tranquillizzante e poi mortifero per la cittadinanza in una conferenza stampa.
Alla quale Boschi non ha partecipato pur avendola di fatto avallata non prendendone le distanze in modo netto. Lo stesso Boschi che ha varato nel 2003 la mappa nazionale che collocava tra le regioni l'Abruzzo in testa ai rischi sismici.
Lo stesso Boschi che per esempio durante il terremoto dell'Umbria nel 1997 curava con il suo istituto la comunicazione sulle risultanze scientifiche, senza vaticini né positivi né negativi e senza avere tra i suoi scopi quello di rasserenare immotivatamente la popolazione.
Un atteggiamento lungo una vita che contrasta con il tenore di una telefonata intercettata tra l'allora capo della Protezione civile, il pirotecnico Guido Bertolaso noto alle cronache giudiziarie, e l'assessore regionale deputata Daniela Stati: "Ti chiamerà De Bernardinis, il mio vice, al quale ho detto di fare una riunione lì a L'Aquila domani (il 31 marzo 2009, subito prima della tragedia, ndr) su questa vicenda di questo sciame sismico che continua, in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni".
Bertolaso, oggettivamente il mandante di questa comunicazione, è fuori dal processo, Boschi, invece, scienziato di fama internazionale trattato da "sicario", ha la colpa di non essersi chiamato fuori con decisione da questa impostura che ha contribuito a mietere vittime.
Non mi pare che sul banco degli imputati ci fosse la scienza, ma una cialtronata criminale in cui forse non tutti possono essere messi sullo stesso piano. In un momento in cui si straparla di efficacia nella comunicazione, questa tragedia ne rende evidenti limiti e macroscopiche responsabilità , in un settore così delicato che un Paese corrottissimo contribuisce a rendere letale.
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