DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Vittorio Macioce per “il Giornale”
Non sono tempi questi per stare sereni. Quando i mal di pancia dei partiti di maggioranza si fanno più molesti la risposta che arriva da Palazzo Chigi è una citazione della lettera di San Paolo ai romani: «Lieti nella speranza, pazienti nella tribolazione».
Questo non significa che Mario Draghi sia preoccupato per il futuro del suo governo. Non sta lì a dispetto dei santi e la partita che conta si giocherà a febbraio, quando si capirà se dovrà traslocare al Quirinale o gestire direttamente la fase operativa delle riforme e del piano di ripresa e resilienza. La ripresa è appunto la speranza, la resilienza è la fatica di dover sopportare chi rivendica la propria identità per sentirsi vivo.
giuseppe conte dario franceschini
Draghi si è rotto le scatole anche della parola resilienza. Non gli viene naturale usarla e poi negli ultimi giorni si sente molto meno zen. Non gli piace la Lega di lotta e di governo. Non vuole tornare su quota cento. Lo innervosiscono le nostalgie da Conte bis di Franceschini. È stanco di aspettare i suoi ministri che non hanno ancora definito i piani sul Recovery.
L'Italia ha bisogno dei fondi europei e qui si discute su tutto tranne che sulle cose serie. Il timore allora è di affogare nei mugugni e nei bizantinismi, con una classe politica preoccupata solo di quello che accadrà nel 2023, ossia le elezioni. I leader sognano la vittoria, mentre i peones si agitano per capire se e come verranno ricandidati. È la repubblica dei «malmostosi».
Le poltrone sono sempre meno e c'è il rischio di ritrovarsi a casa senza sapere cosa fare. È così che a Draghi tocca pure sorbirsi la paternale del suo predecessore, Giuseppe Conte, che non solo annuncia pure lui di sentirsi di lotta e di governo, ma esorta a darsi da fare. «È il tempo di riattivare il cashback e di superbonus, non di bandierine».
Come a dire che Mario deve ispirarsi a lui e che forse non è neppure tanto bravo a gestire la maggioranza. Conte ieri è andato a pranzo con Enrico Letta per festeggiare la vittoria alle amministrative (ma i Cinque Stelle non avevano perso?), ma soprattutto per definire la strategia comune sulla manovra economica e su come gestire la ripresa. Ecco, qui Draghi dovrà toccare le riserve della sua pazienza.
Il Pd adesso si è risvegliato e vuole dire la sua su come e dove spendere i soldi che stanno per arrivare dall'Europa. Conte si accoda e si muove come il topolino dietro l'elefante, convinto di fare casino. Letta ha sempre considerato questo governo cosa sua e Salvini un intruso. È il motivo più serio per evitare traslochi da Palazzo Chigi al Quirinale. A Draghi tocca ancora pazientare.
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