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Stefano Carrer per il "Sole 24 Ore"
In uno spiazzo vicino al palazzo imperiale, intorno a mezzanotte, dietro il grande palco, la statua colossale di Sejong seduto - il re letterato - sembra guardare con benevolenza i cantori che intonano "arirang", una sorta di inno nazionale, in attesa dell'arrivo del nuovo presidente.
Migliaia di sostenitori della prima donna che diventerà il capo dello Stato si uniscono al coro, sventolando bandierine nazionali, nell'area tra il palco e l'altra statua colossale, quella dal piglio minaccioso dell'ammiraglio Yi che nel tardo '500 distrusse la ben più numerosa flotta di invasione giapponese nella versione orientale dello scontro navale di Salamina.
Si diffondono le scintille dalla cima di centinaia di bastoncini nella fredda notte sotto zero, mentre arrivano strilloni a distribuire le edizioni straordinarie. I risultati non sono ancora ufficiali ma l'esito è ormai scontato: Park Geun-hye del partito conservatore Saenuri ha vinto la battaglia elettorale con lo sfidante di centrosinistra Moon Jae-in (51,6% dei voti contro 48%) e da febbraio si insedierà nella Blue House, il palazzo presidenziale dove è cresciuta.
Un ritorno che riallaccia in un filo di continuità la storia di un Paese che, quando suo padre Park Chung-hee fece il colpo di stato nel 1961, era uno dei più poveri del mondo, mentre oggi è nel G-20 e la sua industria manifatturiera spaventa giapponesi, americani ed europei.
Un anziano strappa di mano a Chihiro Inoue, cronista della Kyodo News, un libro con in copertina la foto di una giovanissima Park Geun-hye con il padre. «Park Chung-hee good, Park Geun-hye good», strilla indicando le immagini dei due. Sarà stato pure un dittatore golpista, ma la maggior parte della vecchia generazione sembra essergli grata per averla fatta uscire da un destino di povertà . E ha votato in massa per sua figlia, che fece già da First Lady alla Blue House a 22 anni (dopo che sua madre fu assassinata in un attentato nordcoreano) fino ai 27 anni (quando anche suo padre fu ucciso).
Ora, a 60 anni, single e mai sposata, il nuovo presidente di una nazione considerata ancora parecchio maschilista promette di «guidare il paese con il cuore di una madre che è pronta a dedicare tutto alla sua famiglia». Se ha vinto, è anche perché ha preso le distanze dal presidente uscente Lee Myung-bak, con slogan di cambiamento che tengono in maggiore considerazione le esigenze di cittadini che vedono aumentare le diseguaglianze e temono per lavoro, debiti, costi dell'istruzione.
à risultato efficace aver lanciato una "campagna per la felicità " in un Paese che ha fatto sacrifici inauditi per lo sviluppo e l'educazione; concetto ribadito ieri notte nella promessa di «rendervi felici».
«à una che mantiene quello che promette - dice Steve Chung, 57 anni, imprenditore di macchinari che viene spesso alla fiera del marmo di Verona -. E poi, visto che l'assemblea nazionale è controllata dal suo partito, se avesse vinto l'altro il governo sarebbe rimasto instabile, almeno fino a successive elezioni».
«Nell'altro partito c'è troppa gente legata ai nordcoreani - opina Chang Mu-hyun, 54 anni -. Lei ha vissuto alla Blue house e sa bene come trattare con il Nord». La vittoria nonostante i picchi di impopolarità di Lee Myung-bak pare basata sulla combinazione tra una storia personale che non le nuoce, una campagna in cui ha sequestrato molti temi cari alla sinistra, una prospettiva di azione di governo più efficace. A parte, poi, l'appoggio dei media tradizionali e della macchina governativa: ci sono voci di un aiuto logistico un po' troppo generoso offerto da amministrazioni locali agli anziani perché andassero a votare (l'affluenza è aumentata al 75,8%).
«à un risultato che sembra riflettere la struttura generazionale del Paese - afferma Andrea Goldstein, economista che vive a Seul -. I giovani desiderano un cambiamento radicale e votano per i democratici uniti. Ma adulti e anziani sono in numero maggiore e desiderano un cambiamento più limitato». Tirano un sospiro di sollievo i grandi chaebol su cui si basa la struttura di una economia dipendente dall'export: Moon Jae-in intendeva imporre lo scioglimento dei complessi intrecci azionari che garantisce loro troppa influenza e una governance opaca.
Sarà contenta anche Washington per la sconfitta di chi voleva rinegoziare l'accordo di libero scambio e ripristinare senza condizioni la Sunshine Policy verso il Nord. Park Geun-hye, invece, condiziona una dichiarata volontà di essere più morbida del suo predecessore al fatto che a Nord non si proceda a nuovi esperimenti nucleari. Sembra adatta a trattare con il regime eremita, visto che si è già recata a Pyongyang al tempo del primo vertice bilaterale: se incontrerà il giovane Kim Jong-un potrà rompere il ghiaccio parlandogli di quando aveva incontrato suo padre Kim Jong-il. Sorvolando sul fatto che suo nonno le ha ammazzato la madre.
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