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Francesca Paci per "LaStampa.it"
Il risultato del primo voto libero dopo trent'anni di regime (e in realtà oltre mezzo secolo di dittatura militare) non è di quelli esaltanti per i ragazzi di piazza Tahrir. Tra due settimane l'Egitto torna alle urne per il ballotaggio presidenziale che ha ridotto i candidati a due, i meno amati dai protagonisti della rivoluzione: l'ultraortodosso Fratello Musulmano Mohamed Morsi e l'ex ultimo premier di Mubarak Ahmed Shafik.
"E' il peggiore scenario immaginabile" confida al telefono l'ingegnere ventottenne Mansour, "liberalsocialista" e rivoluzionario della prima ora. Ieri, per un po', ha sperato che le cose si mettessero diversamente: "In serata sembrava che contro Moursi ce l'avesse fatta il nasseriano Sabahi, sarebbe stata tutt'altra storia". Si pensa che se avesse vinto Sabahi, Moursi avrebbe avuto filo da torcere serio.
Ma la storia non si fa con i se e oggi l'Egitto si chiede come finirà il ballottaggio tra l'islamista più oltranzista e il rappresentante del vecchio regime, ma soprattutto che Paese ne uscirà .
Posto che hanno vinto i due candidati con alle spalle la più potente macchina elettorale (e dunque con le maggiori chance di successo), è interessante che - a parte Sabahi - siano stati esclusi i due protagonisti dell'unico eccezionale dibattito tv: l'ex leader della Lega Araba Amr Moussa e l'islamista sedicente liberal (perchè espulso dai Fratelli Musulmani) Aboul Fotouh. Evidentemente presentarsi tal quali si è ai telespettatori non è stato positivo e chissà cosa sarebbe accaduto se a farlo fossero stati tutti i candidati invece che solamente due.
A questo punto, considerando che a meno di scoperta di brogli (e apparentemente i casi di irregolarità sono stati pochissimi), i dati sono due: primo, la guerra interna ai Fratelli Musulmani è stata vinta dal più ortodosso dei due; secondo, il partito egiziano del divano, la maggioranza silenziosa degli egiziani, ha preferito il ritorno all'ordine, garantito dal candidato dell'esercito, all'incertezza sociale ed economica del Paese.
Che scenari si prefigurano adesso? Nel caso dovesse passare il ballottaggio Moursi, più d'una voce suggerisce l'ipotesi estrema di un golpe militare se il nuovo presidente (che avrebbe a quel punto in mano sia il potere esecutivo che il legislativo garantito dalla maggioranza parlamentare) non accettasse una "supervisione" dell'esercito sul modello turco (almeno in teoria). Se invece vincesse Shafik i giovani giurano che torneranno in strada per fare una seconda rivoluzione.
"Ormai abbiamo imparato la strada per Tahrir e non ci faremo fregare due volte" insiste la webattivista trentacinquenne Esra. Eppure, ammette, anche questo è democrazia: "Voi in Italia scegliete sempre tra candidati rispettabili? Sono scioccata, ma almeno so una cosa, anzi due. Primo, il presidente, anche il peggiore immaginabile, starà in carica per quattro anni e poi dovrà tornare a chiedere il consenso e la valutazione degli egiziani. Secondo, abbiamo imparato a non tacere più, il muro della paura è rotto, non accetteremo nè il fascismo islamico né la riscossa dei vecchi e corrotti pachidermi".
Rappresentano i Fratelli Musulmani la possibilità d'un islam politico ma "moderato", come pare scommettere per ora l'amministrazione americana? Accetterà Shafik le regole della democrazia di cui il suo ex mentor Mubarak si è fatto beffa fino all'ultimo? E soprattutto, l'esercito passerà il potere a un governo civile, qualsivoglia sia, dimostrando di mettere in gioco anche quel potere con cui controlla almeno un terzo dell'economia egiziana? Iniziano ora le due settimane più lunghe del nuovo Egitto.
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