
DAGOREPORT – LA BOCCIATURA AL PRIMO VOTO DI FIDUCIA PER FRIEDRICH MERZ È UN SEGNALE CHE ARRIVA DAI…
Paola Pilati per "l'Espresso"
Compra la Snam. Rileva la Sace. Studia Fintecna. Punta alla rete Telecom. L'attivismo di Bassanini & C. è al massimo.
Immaginate 200 amministratori delegati di aziende private che fanno la fila per attirare denaro da un Fondo pubblico. Immaginate il sistema bancario che apre i rubinetti del credito a 52 mila piccole imprese solo perché può attingere a un finanziamento garantito dallo Stato. Immaginate un portafoglio spendibile di 16 miliardi l'anno ma con una riserva di quasi dieci volte di più.
Immaginate la possibilità di pagare sull'unghia una partecipazione da 3,6 miliardi - quella in Snam - e la prospettiva di portare dentro il proprio perimetro le residue partecipazioni dell'ex industria di Stato come Fintecna e Fincantieri, nonché un gioiellino finanziario come la Sace, abbattendo quote di debito pubblico. Immaginate, infine, che sia da lì che possano uscire i soldi necessari a convincere Franco Bernabè a mollare la rete telefonica di Telecom Italia. Non è un sogno: è il mondo della Cassa depositi e prestiti come lo stanno plasmando i suoi vertici, dal presidente Franco Bassanini all'ad Giovanni Gorno Tempini, con l'obiettivo di far diventare l'organismo nato dalla costola del ministero del Tesoro una grande banca di sviluppo pubblico-privato.
Al governo Monti, e soprattutto al ministro dello Sviluppo Corrado Passera, che abita un dicastero con scarse leve finanziarie, l'idea piace moltissimo: vincolati dai lacci del bilancio pubblico, nella Cdp vedono l'unico varco per agire sul tessuto economico del paese. E hanno deciso di utilizzarla per sistemare la quota di controllo della Snam che Paolo Scaroni dovrà amputare dall'Eni ma che il governo ha deciso di mantenere al riparo da scalate.
Anche se l'ad Gorno Tempini assicura che non ci sarà esborso di cassa, e che l'impatto sui conti della Cdp sarà neutrale, l'operazione è il segnale della crescita della Cassa sul fronte dell'equity, cioè delle partecipazioni nel capitale altrui: il nuovo ramo d'attività che la porterà a cambiare totalmente faccia. Perché se fino a oggi le partecipazioni in aziende come Eni, Terna e in passato Stm o Enel, sono state un semplice "portage" per conto del Tesoro, ora la sua ambizione è un'altra: quella di poterne fare la gestione in proprio. Per esempio, conferendo le quote Terna, Snam e della nuova rete tlc in costruzione (e perché no: magari anche quella attualmente di Telecom) in un unico veicolo societario che non avrebbe difficoltà a trovare investitori. Cioè risorse fresche.
Come è possibile tutto ciò? Perché il denaro produce denaro e la Cdp parte avvantaggiata: ha una raccolta postale di 218 miliardi che, sottratti i mutui agli enti locali, consente una liquidità di 128 miliardi, di cui 122 depositati sul conto della tesoreria dello Stato che lo utilizza come circolante. Tutta questa liquidità va quindi usata con molta prudenza, sia perché sono soldi che i risparmiatori devono poter incassare in qualsiasi momento, sia perché il drenaggio delle risorse obbligherebbe il viceministro del Tesoro Vittorio Grilli a sostituirle ricorrendo al mercato. Muovendosi su questo doppio crinale, però, ha una potenza di fuoco miliardaria. Oggi il free capital è di 3 miliardi, ma potrebbe aumentare a seconda della missione da compiere.
L'ingresso in quella che appare come una vera caverna di Ali Babà è un portone severo in una strada che ha il nome di una memorabile battaglia risorgimentale, Castelfidardo, dove i papalini le presero in maniera definitiva dai piemontesi. Ed è lì che Cavour volle piazzare dopo l'Unità la Cassa, copiata da quella di Napoleone (la Caisse des dépôts, più vispa che mai, è tuttora braccio strategico del governo francese), sfidando le critiche dei mercatisti di allora: raccogliere il risparmio grazie alla garanzia dello Stato avrebbe distorto la concorrenza con le banche private.
Oggi quel risparmio è diventato l'unica linfa su cui può contare il sistema. E meno male che i 23 milioni di famiglie che aprono libretti o investono in obbligazioni postali non si sono fatti spaventare dalla crisi: la raccolta ha continuato ad aumentare anche nei primi cinque mesi di quest'anno (più 2 per cento), mentre le banche faticano a farsi dare un altro centesimo.
Anche i mercatisti di oggi arricciano il naso. Eppure la crisi sta impartendo lezioni a tutti. Due esempi: il plafond messo a disposizione dalla Cdp alle banche (8 miliardi già consumati, rinnovato per altri 10) per finanziare le piccole imprese ha dato ossigeno a 52 mila imprenditori che non avrebbero altrimenti trovato credito oltre il breve termine; il Fondo d'investimento italiano - sempre attivato dalla Cdp - ha dato le ali a 20 medie imprese per crescere e internazionalizzarsi (l'investimento più grosso, 22,6 milioni, è andato alla triestina Tbs, manutenzione apparecchiature mediche; il più piccolo, 2,5 milioni, alla Brazzoli di Milano, macchine per la tintura). Fuori di queste cose, il mercato ha poco da offrire.
Ora è al via la creatura più attesa: il Fondo Strategico che la Cassa ha avviato nel 2011 con una dotazione di 4 miliardi. Guidato da Maurizio Tamagnini, il Fondo è stato inondato da 200 richieste di amministratori affamati di nuovo capitale che non trovano altrove. Certo, alcuni volevano soldi per consentire ad alcuni azionisti di uscire, altri speravano in un'ancora di salvataggio (ma i criteri di intervento riguardano solo aziende medio-grandi in precisi settori strategici e con situazione finanziaria stabile): a molti è stato detto di no, come per esempio alla Fondazione Mps in cerca di sistemazione di quote della sua banca.
Per altri come la Kedrion, azienda di emoderivati che punta ad acquisire una società francese per diventare leader in Europa, probabilmente sarà un sì. Come pure il Fondo strategico potrebbe entrare nel capitale di Metroweb insieme a F2i (partecipato dalla Cassa, investe in infrastrutture già esistenti) per metterla in condizioni di affrontare il mercato con un project bond che finanzi la costruzione della banda ultralarga in Italia. Più le operazioni saranno convenienti, più aumenterà poi la chance di convincere alcuni fondi sovrani (si parla di riservatissime trattative con quello del Qatar) a entrare a loro volta nella partita.
Ad annusare l'importanza di questo nuovo mestiere della Cassa sono state per prime le banche d'affari e le grandi società di consulenza: McKinsey è attivissima nel confezionare studi, Goldman Sachs ha strappato quasi gratis la gara per curare l'operazione Snam. à sulla polpa di domani che si fa conto. Uno studio della società di consulenza in cui ha lavorato anche Passera ha lavorato sul dossier Sace, valore 6-7 miliardi, che potrebbe passare dal Tesoro alla Cdp per dare vita a una banca che non si limiti ad assicurare, ma finanzi il commercio estero. Anche Fintecna potrebbe essere nel mirino, nel quadro di un riassetto delle partecipazioni statali, che include pure Fincantieri.
Come evitare "l'effetto Iri", quello di confezionare alla fine una holding al puro servizio delle esigenze del debito pubblico, che è l'accusa corrente? In Cdp sottolineano che banca vogliono essere e banca saranno. Il core business sarà sempre quello di finanziatori a lungo termine, mestiere che le banche non fanno più ma che è l'unica ricetta per dare vita a nuove infrastrutture, che hanno bisogno di uno sguardo a 15, vent'anni.
Ma anche di essere lo strumento dello "Stato garante": senza questa garanzia, ormai non si muove paglia. Sarà questo con ogni probabilità l'unico modello dell'intervento dello Stato in futuro. Poiché anche quella garanzia dipende da quei 23 milioni di formichine che portano il gruzzolo negli uffici postali, figurarsi quale delicato meccanismo stanno costruendo nella caverna di Alì Babà .
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