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A.B. per il “Corriere della Sera”
Il giudice Antonio Esposito non ha violato il dovere del riserbo per un’intervista concessa prima del deposito delle motivazioni della sentenza in Cassazione del processo Mediaset.
Si è concluso con l’assoluzione, dopo oltre tre ore di camera di consiglio, il procedimento davanti alla commissione disciplinare del Csm a carico del presidente del collegio che in Cassazione ha riconosciuto colpevole di frode fiscale Silvio Berlusconi. Il verdetto di ieri è impugnabile davanti alle Sezioni unite civili della Cassazione.
SENTENZA BERLUSCONI LATTESA DAVANTI LA CASSAZIONE
A far finire Esposito davanti al «tribunale» del Consiglio Superiore della Magistratura, con l’accusa di violazione del riserbo, era stata un’ intervista data a Il Mattino prima del deposito delle motivazioni dal titolo «Berlusconi condannato perché sapeva, non perché non poteva non sapere». Il giudice accusò subito il giornale — contro il quale ha intentato una causa civile — di aver manipolato l’intervista. Una tesi che ha ribadito durante il processo disciplinare spiegando di non aver «mai parlato degli esiti del processo Mediaset», ma che al testo venne aggiunta una domanda su quel procedimento che in realtà non gli era mai stata formulata.
Nella sua autodifesa (che ha occupato anche una parte dell’udienza di ieri) Esposito ha spiegato che, se parlò effettivamente con il giornalista delle ragioni per cui il processo sul Silvio Berlusconi era stato assegnato alla sezione feriale della Cassazione e fissato per il 30 luglio, fu perché ritenne suo «dovere ristabilire la verità», dopo aver subito «il più infame linciaggio mediatico della storia», con l’accusa esplicita di «aver emesso un provvedimento anomalo con lo scopo di colpire Berlusconi».
Esposito ha poi escluso di aver lui stesso sollecitato l’intervista: «Non avevo alcun motivo di farmi pubblicità attraverso un giornale a bassa tiratura, quando il mio nome era apparso su tutti i giornali italiani e stranieri e io avevo rifiutato di dare un’intervista alla Cnn ».
Il rappresentante della procura generale della Cassazione, Ignazio Juan Patrone, che aveva chiesto per Esposito la sanzione della censura, aveva invece sostenuto che il magistrato era comunque venuto meno al dovere del riserbo, «sollecitando lui stesso la pubblicità di notizie sulla propria attività e sul processo appena trattato» e non ancora concluso, visto che non erano state depositate le motivazioni.
Il comportamento di Esposito, aveva sostenuto nella sua requisitoria, è stato «gravemente scorretto» nei confronti dei colleghi del collegio, anche per aver scelto un «canale personale privilegiato» per le sue esternazioni, «senza informare nessuno».
«Nessuno nega che c’erano stati titoli odiosi su alcuni giornali ed erano state fatte considerazioni sgradevoli su Esposito», aveva ammesso Patrone, ma la strada non può essere in questi casi quella dell’autodifesa. Esposito si sarebbe dovuto comportare come hanno fatto «decine di magistrati che, oggetto di accuse gravi, hanno affidato la loro tutela alle sedi deputate, il Csm e l’Associazione nazionale magistrati».
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