CUPERLO TROVA LA PRIMA SCUSA PER DIMETTERSI DAL PD DI RENZI - LETTERA A MATTEUCCIO: “A UNA MIA OBIEZIONE POLITICA SULLA LEGGE ELETTORALE, HAI RISPOSTO CON UN ATTACCO PERSONALE” (CIOÈ: COME PUÒ VOLERE LE PREFERENZE UNO CHE È SEMPRE STATO NOMINATO?)

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1. GIANNI CUPERLO SI DIMETTE DA PRESIDENTE DELL'ASSEMBLEA PD
Da www.ansa.it

Gianni Cuperlo si dimette da presidente del Pd. Lo ha annunciato lui stesso durante la riunione della minoranza, in corso alla Camera, leggendo la lettera che invierà al segretario Pd Matteo Renzi per motivare la sua decisione. "Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l'omologazione, di linguaggio e pensiero": così scrive Cuperlo in una lettera al segretario Renzi in cui spiega il perchè delle sue dimissioni da presidente del Pd.

"Mi dimetto - spiega Cuperlo nella missiva pubblicata sulla sua pagina Facebook - perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere. Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso. Voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità".

"Ancora ieri, e non per la prima volta, tu hai risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale", scrive Cuperlo nella lettera aperta a Matteo Renzi (pubblicata su facebook) nella quale annuncia le sue dimissioni dalla presidenza dell'assemblea del Pd.

"Presenterò emendamenti contro le liste bloccate, perché non le vuole nessuno. E alla fine anche Renzi sarà chiamato a far prevalere la sintonia con il nostro popolo rispetto alla sintonia con Berlusconi: la nostra linea prevarrà in tutto il Pd". Lo afferma Alfredo D'Attorre. Il deputato bersaniano del Pd spiega che nel dibattito di stamane in commissione è emersa una volontà trasversale di cancellare le liste bloccate: "Lo abbiamo detto io, la Bindi e altri Pd, ma anche colleghi di tutti gli altri partiti, tranne FI".

"Sono contento dell'accordo tra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale perché siamo tornati alla grande politica che passa dalle parole ai fatti. Tutto questo mette fine alla tristezza giudiziaria contro Berlusconi che ha intossicato la vita del nostro Paese". Lo ha detto Renato Brunetta, capogruppo di Fi alla Camera, intervistato da Radio Anch'io.

"La proposta del segretario del Pd è seria, ragionevole. E' un buon punto di sintesi che consente, finalmente, di sbloccare un dibattito che dura da anni". Così il sindaco di Torino Piero Fassino sul modello elettorale illustrato da Matteo Renzi. "Consente - ha spiegato Fassino, a margine dell'inaugurazione di nuove linee di treni regionali - di garantire la governabilità ed al tempo ad ogni forza politica di misurare la propria rappresentanza. In ogni collegio plurinominale il numero degli eletti sarà molto contenuto e quindi si avrà un rapporto tra gli elettori e gli eletti che l'attuale legge ha impedito di fatto.

Il largo consenso che ha ricevuto la proposta di Renzi, ed il fatto che anche chi aveva dei dubbi non ha votato contrario ma si è astenuto, consente al Pd di andare al confronto con altre forze politiche forte di una proposta in grado di dare una soluzione ad un tema per troppo tempo irrisolto".

"Il pacchetto" che include la legge elettorale "è bloccato, per cui stiamo qui a discutere ma senza alcuna speranza di modificare nulla. Questa è dittatura!". Lo denuncia su Facebook Fabiana Dadone, capogruppo M5S in commissione Affari costituzionali alla Camera. "Inizia finalmente la discussione sulla proposta fatta al di fuori del palazzo di Montecitorio (nelle stanza dell'inciucio), l'Italicum di Renzi e Berlusconi - riferisce Dadone -. I commenti sono quasi tutti rivolti all'accordo piuttosto che al merito della proposta di legge. Dico 'quasi tutti' perchè sia la Bindi (Pd) che Lauricella (Pd) si sono espressi nel merito della proposta di maggioranza ma contro questa legge perchè ha dei profili critici rispetto alla sentenza della Corte".

La deputata M5S sostiene che "la soglia per il premio è troppo bassa, per cui il premio è incostituzionale". Inoltre "il listino bloccato è incostituzionale e antidemocratico, non permette la libera scelta dell'elettore". E ancora: "L'Italicus è venduto come proporzionale ma è un maggioritario. Anche questo va contro la pronuncia della Corte Costituzionale. Questa proposta è peggiore del Porcellum! E' una presa in giro vergognosa!", afferma.

''Il nostro vero interesse è che la legge elettorale sia una legge democratica, che consenta cioè al popolo di esprimersi realmente'': è l'opinione del ministro della Difesa, Mario Mauro, sulla nuova legge elettorale, espressa a 'Prima di tutto' su Radio 1. ''Quindi il tema della soglia che consente di avere il premio di maggioranza - dice Mauro - non è semplicemente una cabala di numeri. Il 35% nella nostra visione di Popolari per l'Italia è poco, rischia cioè di trasformare il momento del voto, in cui serve la partecipazione popolare, per ottenere la democrazia, in un momento in cui di fatto un'elite si impadronisce del governo del Paese.

Prendiamo ad esempio le ultime elezioni, dove ha votato suppergiù il 50% degli avente diritto. Ecco il 35% di quel 50% è una quota della popolazione a nostro avviso insufficiente per esprimere una vera e propria maggioranza. Quindi attenzione al tema del premio di maggioranza, discutiamone in Parlamento, so che c'è un'intesa fra i due partiti più grandi ma questo è un tema che attiene all'esistenza dei partiti minori, è un tema che attiene alla democrazia del Paese e alla partecipazione popolare''. Per il ministro Mauro poi, ''dopo venti anni che votiamo obbligati a farci carico di ciò che le segreterie dei partiti hanno già deciso, ci fate votare con le preferenze, in modo da scegliere coloro che si vogliono mandare in Parlamento?''.

Dopo aver stretto sabato un patto di ferro con Silvio Berlusconi e un'intesa di massima con Angelino Alfano, Matteo Renzi supera anche il passaggio della direzione del Pd, imponendo con 111 voti a favore e 34 astenuti l'Italicum, il modello proporzionale di riforma elettorale da approvare entro le elezioni europee.

E con la forza dei numeri dentro il partito, il leader Pd blinda l'iter in Parlamento e mette a tacere la minoranza interna: "Non è una riforma a' la carte, chi pensasse di intervenire a modificare qualcosa manda all'aria tutto". Leader e sherpa hanno lavorato fino all'ultimo per chiudere un'intesa che non si limitasse all'accordo tra Renzi e Berlusconi. Il segretario Pd, anche per togliersi di dosso quella che definisce l'"ingenerosa" etichetta di voler "far le scarpe" al premier Enrico Letta, incontra, un'ora prima dell'avvio della direzione, il leader Ncd Angelino Alfano. In realtà il doppio turno, fanno trapelare oggi fonti vicine al segretario Pd, fa già parte dell'accordo con il Cavaliere e non è una concessione al Nuovo Centro destra.

Ma certo il ballottaggio di coalizione, nel caso in cui nessuno raggiunga la soglia del 35 per cento al primo turno, va nella direzione indicata da Alfano come condizione per non far saltare la maggioranza di governo. Dopo aver visto anche Mario Mauro dei Popolari, il segretario Pd arriva alla prova direzione. E, con il suo solito stile, non sembra disposto a fare sconti nè concessioni. "E' arrivato il momento per dimostrare se la politica sa decidere o è solo il bar dello sport", esordisce Renzi che, proprio sulla politica che decide, sferra l'attacco a Beppe Grillo, che bolla come "pregiudicatellum" l'intesa siglata tra il Pd e Fi.

Il sistema prevede un'attribuzione dei seggi su base nazionale, "una modifica allo spagnolo - chiarisce Renzi - per evitare una frattura dentro la maggioranza", con collegi con liste bloccate di 4-5 candidati. Per aggirare l'accusa del parlamento dei nominati, il leader Pd assicura che i dem "faranno le primarie e considereranno vincolante l'alternanza di genere". Ma è proprio sulle liste bloccate e per l'introduzione delle preferenze che Alfano e anche i Popolari annunciano battaglia in Parlamento anche se oggi il vicepremier può tirare un sospiro di sollievo dopo aver sventato "il tentativo di soffocarci in culla".

Di modifiche, però, Renzi non ne vuole proprio sentire parlare. Nè tanto meno è disposto a portare a casa un via libera della direzione del Pd che però il giorno dopo diventa carta straccia: "Spero che Cuperlo mi voti contro ma poi quando si e' deciso passa il principio che la linea non impegna parte del Pd ma il Pd". Alla fine della direzione, l'opposizione si astiene anche se la riforma non è "convincente" e presenta, affonda il capo della minoranza, "profili di incostituzionalità".

Accuse che il sindaco di Firenze non accetta così come difende a spada tratta l'intesa con Berlusconi. "Con chi dovevo discutere, con Dudù? - ironizza - il Cavaliere è legittimato non da noi ma dal voto di milioni di italiani. Io non sono subalterno a lui, non ne ho paura al punto da cambiare le mie idee se sono le sue".

Un riconoscimento che suona come miele alle orecchie del Cavaliere che subito ricambia in un abbraccio che però Renzi non teme: "Il leader Pd ha rappresentato in modo chiaro e corretto il contenuto della nostra intesa che offriamo con convinzione al Parlamento e al Paese''.


2. LA LETTERA DI GIANNI CUPERLO A MATTEO RENZI
Dalla pagina Facebook di Cuperlo

Caro Segretario,
dal primo minuto successivo alle primarie ho detto due cose: che quel risultato, così netto nelle sue dimensioni e nel messaggio, andava colto e rispettato, e che da parte mia vi sarebbe stato un atteggiamento leale e collaborativo senza venir meno alla chiarezza di posizioni e principi che, assieme a tante e tanti, abbiamo messo a base della nostra proposta congressuale.

Ho accettato la presidenza dell'Assemblea nazionale con questo spirito e ho cercato di comportarmi in modo conseguente. Prendendo parola e posizione quando mi è sembrato necessario, ma sempre nel rispetto degli altri a cominciare da chi si è assunto l'onere e la responsabilità di guidare questa nuova fase.

Nella direzione di ieri sono intervenuto sul merito delle riforme e sul metodo che abbiamo seguito. Ho espresso apprezzamento per l'accelerazione che hai impresso al confronto e condiviso il traguardo di una riforma decisiva per la tenuta del nostro assetto democratico e istituzionale. Non c'era alcun pregiudizio verso il lavoro che hai svolto nei giorni e nelle settimane passate. Lavoro utile e prezioso, non per una parte ma per il Paese tutto.

Ho anche manifestato alcuni dubbi - insisto, di merito - sulla proposta di nuova legge elettorale. In particolare gli effetti di una soglia troppo bassa - il 35 per cento - per lo scatto di un premio di maggioranza. Di una soglia troppo alta - l'8 per cento - per le forze non coalizzate e di un limite serio nel non consentire ancora una volta ai cittadini la scelta diretta del loro rappresentante. Dubbi che, per altro, ritrovo autorevolmente illustrati stamane sulle pagine dei principali quotidiani da personalità e studiosi ben più autorevoli di me.

Infine ho espresso una valutazione politica sul metodo seguito nella costruzione della proposta e ho chiuso con un richiamo a non considerare la discussione tra noi come una parentesi irrilevante ai fini di un miglioramento delle soluzioni.

Nella tua replica ho ascoltato la conferma che le riforme in discussione rappresentano un pacchetto chiuso e dunque - traduco io - non emendabile o migliorabile pena l'arresto del processo, almeno nelle modalità che ha assunto. Sino ad un riferimento diretto a me e al fatto che avrei sollevato strumentalmente il tema delle preferenze con tutta la scarsa credibilità di uno che quell'argomento si è ben guardato dal porre all'atto del suo (cioè mio) ingresso alla Camera in un listino bloccato.

E' vero.
Per il poco che possano valere dei cenni personali, sono entrato per la prima volta in Parlamento nel giugno del 2006 subentrando al collega Budin che si era dimesso. Vi sono rientrato da "nominato" nel 2008 e nuovamente nel listino da te rammentato a febbraio di un anno fa. La mia intera esperienza parlamentare è coincisa con la peggiore legge elettorale mai concepita nella storia repubblicana. Sarebbe per altro noioso per te che io ti raccontassi quali siano stati la mia esperienza e il mio impegno politico prima di questa parentesi istituzionale. Però la conosco io, e tanto può bastare.

Quanto al consenso non so dire se in una competizione con preferenze ne avrei raccolte molte o poche. So che alcuni mesi fa, usando qualche violenza al mio carattere, mi sono candidato alla guida del nostro partito. Ho perso quella sfida raccogliendo però attorno a quella nostra proposta un volume di consensi che io considero non banali.
Comunque non è questo il punto.

Il punto è che ancora ieri, e non per la prima volta, tu hai risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale.

Il punto è che ritengo non possano funzionare un organismo dirigente e una comunità politica - e un partito è in primo luogo una comunità politica - dove le riunioni si convocano, si svolgono, ma dove lo spazio e l'espressione delle differenze finiscono in una irritazione della maggioranza e, con qualche frequenza, in una conseguente delegittimazione dell'interlocutore.

Non credo sia un metodo giusto, saggio, adeguato alle ambizioni di un partito come il Pd e alle speranze che questa nuova stagione, e il tuo personale successo, hanno attivato.
Tra i moltissimi difetti che mi riconosco non credo di avere mai sofferto dell'ansia di una collocazione.

Ieri sera, a fine dei nostri lavori, esponenti della tua maggioranza hanno chiesto le mie dimissioni da presidente per il "livore" che avrei manifestato nel corso del mio intervento.
Leggo da un dizionario on line che la definizione del termine corrisponde più o meno a "sentimento di invidia e rancore".

Ecco, caro Segretario, non è così.
Non nutro alcun sentimento di invidia e tanto meno di rancore. Non ne avrei ragione dal momento che la politica, quando vissuta con passione, ti insegna a misurarti con la forza dei processi. E io questo realismo lo considero un segno della maturità.

Non mi dimetto, quindi, per "livore". E neppure per l'assenza di un cenno di solidarietà di fronte alla richiesta di dimissioni avanzata con motivazioni alquanto discutibili.
Non mi dimetto neppure per una battuta scivolata via o il gusto gratuito di un'offesa. Anche se alle spalle abbiamo anni durante i quali il linguaggio della politica si è spinto fin dove mai avrebbe dovuto spingersi, e tutto era sempre e solo rubricato come "una battuta".

Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l'omologazione, di linguaggio e pensiero.

Mi dimetto perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere.

Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso. Voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità.

Auguro buon lavoro a te e a tutti noi.
Gianni

 

 

 

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