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Stefano Cappellini per “la Repubblica”
Quando Ignazio Marino si è affacciato sulla soglia della stanza papale, Francesco non è rimasto sorpreso: stavolta l’aveva invitato lui. È il primo febbraio 2016, l’ex sindaco di Roma ha chiesto e ottenuto un incontro privato con il Papa che, di fatto, è l’occasione per un chiarimento dopo le polemiche sulla visita pontificia a Filadelfia («Sia chiaro, Marino non l’ho invitato io», aveva risposto a domanda un infastidito Bergoglio a bordo dell’aereo papale). Il contenuto del colloquio di pace lo racconta Marino stesso in Un marziano a Roma.
Il libro, edito da Feltrinelli, sarà presentato oggi in conferenza stampa e domani al pubblico, in una libreria romana dove è anche probabile che l’ex sindaco sciolga la riserva sulla candidatura al Campidoglio.
«Santo Padre, coloro che non mi volevano alla guida di Roma hanno voluto interpretare le sue parole come il segnale che potevano essere sciolti i cani contro di me», è lo sfogo di Marino con Bergoglio. Il quale garantisce all’ex sindaco l’assenza di malanimo e lo congeda «ribadendo il suo affetto».
Meno affettuoso fu un precedente incontro, avvenuto un anno prima, nel quale il Papa espresse a Marino il suo dissenso sulla scelta di registrare in Campidoglio i matrimoni omosessuali celebrati all’estero: «Le sue parole furono molto severe, mi disse che era stato uno sbaglio».
Di altri sbagli — molti quelli addebitati altrui, pochi quelli riconosciuti a se stesso — è intessuta la trama del libro, compendio dei perigliosi due anni e mezzo trascorsi in Campidoglio, che si apre con la ricostruzione dei giorni della cacciata.
Bersaglio principale, dalla prima all’ultima pagina, è Matteo Renzi, accusato di essere il mandante di una caduta orchestrata come un golpe, seguito da Matteo Orfini, commissario del Pd romano («A Roma lo chiamano il traditore, per aver tradito Massimo D’Alema») e infine dall’ex vicesindaco Massimo Causi che, per sbrogliare la matassa delle dimissioni prima annunciate e poi ritirate da Marino, offre all’allora primo cittadino questa via d’uscita: «Tu lasci Roma, vai a Filadelfia e spegni il cellulare. Così per irreperibilità del sindaco il governo dovrà nominare un commissario e sciogliere consiglio e giunta».
Marino ne ha per tutti. Al vicesegretario dem Lorenzo Guerini rimprovera di avergli proposto la nomina a vicesindaco dell’ex presidente del Consiglio comunale Mirko Coratti. Marino rifiuta e pochi giorni dopo Coratti viene travolto dall’inchiesta di Mafia capitale e arrestato. Non sarà l’unico esponente del Pd a subire questa sorte. Gli arresti sono la prova, secondo l’autore, del boicottaggio che un pezzo del partito romano gli ha riservato fin dalle primarie vinte contro David Sassoli e Paolo Gentiloni.
Intrighi come quelli che Marino vede nella candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024. «Una fuga solitaria», definisce l’annuncio di Renzi senza coinvolgere il Comune (del resto, anche del Giubileo della misericordia spiega di avere appreso da Internet). A Giovanni Malagò e Luca Cordero di Montezemolo imputa di aver incentrato il dossier olimpico sulla costruzione del Villaggio olimpico a Tor Vergata per soddisfare il consorzio di imprese che su quell’area vanta diritti di costruzione.
E al principale azionista del consorzio, Francesco Gaetano Caltagirone, riserva accuse dirette: «Ha quasi sempre utilizzato i media che possiede per infangarmi». Dei costruttori romani dice: «Dai fratelli Toti a Sergio Scarpellini, ho sempre avuto l’impressione che detestassero il rischio d’impresa».
Non una riga è dedicata alla ricostruzione della vicenda degli scontrini per le cene pagate con la carta di credito del Comune, città solo di passaggio. Delle multe alla Panda rossa priva di permesso per il centro storico Marino parla come il pretesto per un primo tentativo di disarcionarlo.
Lungo è invece l’elenco delle svolte che Marino s’intesta: lo stop al consumo di suolo, la chiusura della discarica di Malagrotta, la guerra ai camion bar, l’avvio del risanamento del bilancio comunale e delle municipalizzate, compresa quell’Atac, l’azienda dei trasporti che una settimana fa l’ad di Ferrovie Renato Mazzoncini ha definito “tecnicamente fallita”.
Come mai tanto operare abbia prodotto un consenso così precario, al netto di complotti e agguati, non è oggetto di riflessione. Forse pesa il fatto che, a bilancio, figurano più linee guida e indirizzi che svolte definitive.
Anche perché di definitivo c’è poco in una città dove, ricorda Marino, devono ancora essere pagati i terreni espropriati per la costruzione del Villaggio olimpico del 1960 e pendono circa 200 mila pratiche di condono edilizio presentate ai tempi della prima sanatoria del 1985. Roma è lenta a muoversi ma fa in fretta a disilludersi. Persino quando incrocia un marziano in città, come raccontava Flaiano qualche anno prima di Marino.
FRATELLI TOTI
luca cordero di montezemolo giovanni malago
mirko coratti
SERGIO SCARPELLINI
marroni gasbarra de angelis guerini
MARINO 9
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