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“MELONI È IN DIFFICOLTÀ PERCHÉ IL FAMOSO 'PONTE' CON TRUMP È FRANATO SOTTO LE BOMBE SULL’IRAN. E CON ESSO L’IDEA CHE LA CONTIGUITÀ IDEOLOGICA PORTASSE UN’INTERLOCUZIONE POLITICA PRIVILEGIATA” – “LA STAMPA”: “DELL’AZZARDO DI TRUMP, AL PARI DI ALTRI PARTNER OCCIDENTALI, NON È STATA NEANCHE AVVISATA. NEL SUO DISCORSO ALLA CAMERA L’INTERVENTO AMERICANO NON L’HA CRITICATO, MA NEPPURE GIUSTIFICATO. HA AFFERMATO CHE LA RISPOSTA NON PUÒ CHE ESSERE NEGOZIALE – SI E’ DETTA CONTRARIA ALL’EVENTUALITÀ CHE L’IRAN POSSA AVERE IL NUCLEARE PER USI MILITARI, NON HA ESCLUSO POSSA AVERLO PER USI CIVILI. HA DEFINITO INACCETTABILE L’OCCUPAZIONE DI GAZA, PUR SENZA PAVENTARE SANZIONI. HA PARLATO DI DIFESA EUROPEA E HA SCANDITO CHE, SE CI CHIEDONO LE BASI MILITARI, DECIDERÀ IL PARLAMENTO. CHIAMATELO, SE VOLETE: ‘EFFETTO MATTARELLA’. EVIDENTEMENTE, IN QUESTA POSTURA, HA INFLUITO LA TELEFONATA DEL GIORNO PRIMA COL CAPO DELLO STATO…”
Estratto dell’articolo di Alessandro De Angelis per “la Stampa”
Con ogni evidenza Giorgia Meloni è in difficoltà. Forse nel momento di più acuta difficoltà da quando è a palazzo Chigi, perché il famoso “ponte” con Donald Trump è franato sotto le bombe sull’Iran. E con esso l’idea che la contiguità ideologica fosse foriera di un’interlocuzione politica privilegiata.
Dell’azzardo di Trump, al pari di altri partner occidentali, non è stata neanche avvisata.
Si percepisce un disagio per una situazione che appare fuori controllo, anche dalla scelta di non nominare direttamente il presidente americano e il premier israeliano nel suo intervento in Aula.
sergio mattarella giorgia meloni altare della patria 2 giugno 2025
E tuttavia il suo discorso alla Camera, sia pur molto prudente e composto, […] racconta di una tenuta nei fondamentali, sia pur senza picchi di iniziativa.
Uno: l’intervento americano non l’ha criticato, ma neppure giustificato, come pure hanno fatto Keir Starmer […] e Friedrich Merz, che guida una grande coalizione con la Spd. Quello secondo cui «Netanyahu sta facendo il lavoro sporco» per tutti. Diciamo che ha sorvolato sul tema, barcamenandosi.
DONALD TRUMP - GIORGIA MELONI - G7 KANANASKIS - CANADA
Due: ha affermato che la risposta non può che essere negoziale.
Tre: dicendosi contraria all’eventualità che l’Iran possa avere il nucleare per usi militari, non ha escluso possa averlo per usi civili.
Quattro: ha definito inaccettabile l’occupazione di Gaza, pur senza paventare sanzioni.
Quinto: ha parlato di difesa europea.
GIORGIA MELONI - BENJAMIN NETANYAHU
Sesto: si è impegnata a un costante confronto con l’opposizione e ha scandito che, se ci chiedono le basi militari, deciderà il Parlamento.
Chiamatelo, se volete: effetto Mattarella. Evidentemente, in questa postura, ha influito la telefonata del giorno prima col capo dello Stato. Che, a proposito di basi militari, qualche ruolo ce l’ha, essendo capo del Consiglio supremo di difesa. Letto da destra, con Matteo Salvini a fianco e le cronache, a seduta in corso, dell’attacco iraniano alle basi americane in Qatar e Iraq, è, dal suo punto di vista, il massimo di apertura possibile. Non uno spariglio, né un protagonismo italiano, ma neanche la subalternità.
giorgia meloni e sergio mattarella - consiglio supremo della difesa
Recepisce, in un momento grave, una cornice di compatibilità istituzionale. Per necessità o convinzione, stavolta non ha parlato alla curva. La notizia è che, invece, con le curve si sono dilettate le opposizioni. Avrebbero potuto inchiodarla a quella cornice minima, facendo finta di prenderla sul serio e incalzandola. In altri tempi, quando Instagram non esisteva, un leader della sinistra avrebbe detto: “Bene, lei vuole tregua, quali iniziative sta mettendo in campo?”, “bene, lei condanna quel che accade a Gaza e si vuole confrontare con le opposizioni, e allora quale messaggio mandiamo a Israele?”.
giorgia meloni emmanuel macron mark carney donald trump g7 di kananaskis in canada
E l’avrebbe aspettata al varco sull’impegno a decidere in Parlamento l’eventuale utilizzo delle basi, per poi, semmai in quel momento fare l’ira di Dio. Invece hanno recitato il solito spartito “contro”, nell’ambito di una competizione, tutta nel campo stretto.
Prima ancora delle parole dei leader in Aula, carta canta, ci sono le mozioni che configurano la bancarotta politica di un campo che non è una alternativa. Quella dell’M5s contro il riarmo, per l’abbandono dell’Ucraina e la ripresa della dipendenza dal gas russo. Il Pd aveva scelto di astenersi come aveva fatto a marzo su una mozione pressoché fotocopia, poi ha votato contro i punti controversi.
GIORGIA MELONI - BENJAMIN NETANYAHU
Quella del Pd pro-Ucraina, conto Trump e Netanyahu e a favore di una «radicale revisione» del piano di riarmo, punto di mediazione interna tra chi lo vuole e chi no. Quella di Avs più simile a quella del Movimento. Morale della favola, non solo non hanno presentato una mozione comune, ma il “campo largo” si è frantumato su Kiev.
E siccome, non c’è un terreno comune “per”, ecco i comizi “contro”, proprio nel giorno che Giorgia Meloni li ha evitati. Bonelli mostra la foto di Netanyahu, Fratoianni bolla il governo come «complice e imbelle», Conte si esibisce in un crescendo contro la politica bellicista […] per una volta che Giorgia Meloni si è messa l’abito da premier, gli altri hanno fatto i capipartito, giocando a fare Meloni con Meloni.
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