DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Peppe Rinaldi per “Libero quotidiano”
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
È dunque ufficiale: quando si tratta di decidere se un amministratore pubblico condannato, anche solo in primo grado, per le fattispecie previste dalla legge Severino sia candidabile, eleggibile e a chi spettino i relativi poteri di sospensione dalla carica, deve farlo il giudice civile e non quello amministrativo. Chi già si trovi in questa condizione ne pagherà immediate conseguenze. A partire dal sindaco di Napoli e, a cascata e potenzialmente in misura maggiore, il candidato governatore del Pd, Vincenzo De Luca.
MATTEO RENZI E VINCENZO DE LUCA
Sono state depositate ieri le motivazioni con cui le Sezioni unite della Cassazione hanno stabilito l’ineludibile (?) principio secondo il quale Tar e Consigli di Stato non possano decidere che dinanzi a un condannato possa prevalere, tra altri principi, «il buon andamento della pubblica amministrazione»: deve pensarci il magistrato civile, tanto più in tema di elettorato passivo e a maggior ragione se è stata precisa la volontà del legislatore nel varare la norma.
Argomento ultra sensibile. Ventidue pagine in cui, analiticamente, si spiegano le ragioni che hanno spinto la massima magistratura civile italiana a muoversi in tale direzione. Le cose si complicano: per il primo cittadino di Napoli ma soprattutto per Enzo De Luca. Sono ore al cardiopalmo, dove si rincorrono le prese di posizione più disparate e dove, in un attimo, sono apparsi 60 milioni di giuristi. Al centro c’è la domanda irrinunciabile: ora che sul caso di De Magistris s’è fatta luce, la stessa cosa varrà in automatico per De Luca? Lui, il trasversale sceriffo di Salerno, alza un po’ di polvere dicendosi convinto che «il caso è diverso, non si applica a chi viene eletto per la prima volta».
L'argomentazione sarebbe -aggiunge De Luca- condivisa da alcuni giuristi. Ce ne sarà di tempo per il riscontro. Sta di fatto sembra delinearsi una doccia fredda, almeno stando al linguaggio letterale dei cassazionisti: «Non è attribuita alla pubblica amministrazione alcuna discrezionalità in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione; la sospensione opera di diritto al solo verificarsi delle condizioni legislativamente previste e per il tempo previsto dal legislatore».
E la condizione che deve verificarsi parrebbe essere una sola: la condanna sul groppone. Per aver utilizzato un termine piuttosto che un altro («project manager invece che coordinatore di progetto» come lamenta da mesi De Luca quando spiega perché il tribunale di Salerno abbia inteso condannarlo) ma pur sempre una condizione oggettiva rimane, con le relative conseguenze.
In parole povere: se De Luca dopodomani vincerà le elezioni, non avrà il tempo di nominare la giunta né di formalizzare un vice-presidente, niente di niente. Se uno voglia dolersene -come già successo con i ricorsi al Tar- dovrà rivolgersi al giudice civile: la qual cosa, naturalmente, non ha i tempi né la forma di un tribunale amministrativo, di primo o secondo grado che sia. Non riuscirà a farlo neanche se il premier Renzi la prenderà alla lunga finché potrà per dargli un minimo di agio? De Luca -ma anche Lorenzo Guerini- dice che andrà così e che «ci penserà il premier. E poi, dal primo giugno la Severino non sarà più un problema».
Un caos, insomma. Cui fanno eco dal centrodestra diverse personalità politiche e istituzionali. A partire dal governatore uscente, Caldoro, che pone il problema del destino della Campania dinanzi al potenziale vuoto amministrativo. E dal presidente dell’Anac (l’autorità per l’anticorruzione), Raffaele Cantone, che non sembra avere molti dubbi: «Mi pare che la Severino sia chiara, quando e se sarà eletto il premier farà le valutazioni». Ma in realtà i paradossi non finiscono qui.
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Il sindaco De Magistris, che continua ad avallare la logica che ha poi prodotto la Severino («Mi vogliono far pagare le inchieste sulla casta»), in realtà potrebbe trovarsi in una situazione più surreale di quanto già non lo sia un po’ tutto. È stato condannato ma nel corso dell’Appello sarebbe anche maturata la prescrizione, quindi sarà assolto e non si troverà più nelle condizioni previste dalla Severino, facendo ripartire la macchina infernale al contrario. Solo che servirebbe una sentenza con dichiarazione formale di estinzione del reato, che fissa la Corte d’Appello. La quale dovrebbe farlo pure in tempi rapidi. Che non ci sono. Semplicemente, è un «incartamento» generale.
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