DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Massimo Franco per il “Corriere della Sera”
salvini meloni berlusconi piazza del popolo 2
C'è da chiedersi come si ridurrà la frammentazione palese e strisciante che emerge da questa confusa campagna elettorale. Frammentazione a sinistra, dove il Pd si trova ad affrontare l'offensiva «centrista» di Carlo Calenda, quella «progressista» del grillino Giuseppe Conte e le manovre interne di chi già scommette sulla sconfitta.
Ma anche nello schieramento opposto, dato in netto vantaggio, si avverte qualche scricchiolio che una vittoria il 25 settembre potrebbe eliminare oppure accentuare. I segnali ostili a Giorgia Meloni che arrivano da Matteo Salvini aumentano. Primo: alla leader di Fratelli d'Italia candidata a Palazzo Chigi il capo della Lega fa sapere che i ministri dovranno essere concordati tra alleati. Precisazione in teoria superflua, che però è la spia di un malumore crescente.
MURALE SALVINI MELONI BERLUSCONI CENTRO DI ROMA
Non a caso, quando in tv gli chiedono del governo Meloni, la risposta è: «Io penso al governo Salvini». Secondo: Meloni è contraria in modo netto al reddito di cittadinanza del M5S. Salvini invece dice che va «modificato» non abolito. Si potrebbe continuare con la divaricazione sullo scostamento di bilancio intimato a Draghi dalla Lega, e bocciato dalla leader di FdI; o sui rapporti con la Russia.
La considerazione che si sta facendo, però, è sul dopo voto. E cioè su che cosa potrà accadere se, come si ipotizza, Meloni calamiterà una buona porzione dei voti berlusconiani e salviniani. Un distacco netto, secondo un'ipotesi, servirà a mettere a tacere FI e Lega, obbligandoli ad assecondare le scelte della candidata premier.
Ma non si esclude che il centrodestra sconfitto nelle urne voglia rivalersi sul centrodestra vincitore alzando il prezzo sui ministeri. Su questo sfondo è difficile prevedere se chi prevarrà sarà in grado di offrire una coalizione coesa anche sul piano internazionale. Il grande vantaggio del centrodestra è di avere di fronte forze incattivite, e divise fino a destabilizzarsi a vicenda.
In apparenza, la vittima designata è il Pd di Enrico Letta, con Calenda e il suo sodale Matteo Renzi che già «vedono» il segretario in uscita. Giocano di sponda con il M5S, che incoraggiato dalle previsioni favorevoli a Sud bersaglia Letta. Ma nel farlo, Conte tradisce una grande nostalgia per Palazzo Chigi. Esaltando la propria parentesi da premier populista, il capo grillino cerca di sminuire la figura e il prestigio di Draghi.
sergio mattarella mario draghi
Con un'ultima giravolta, dice no alle armi all'Ucraina. E arriva a definirsi l'unico argine al centrodestra. Eppure, è stata l'irresponsabilità del grillismo, usata da Lega e FI, a far cadere l'esecutivo di unità nazionale; e a favorire l'ascesa di Giorgia Meloni che ha avuto il merito o la furbizia di stare lontana dal M5S: al punto da non entrare nella maggioranza di Draghi. Un segno di coerenza, e insieme un'incognita per il futuro dell'Italia.
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