LA DESTRA USA HA GIÀ VINTO - IL POLITOLOGO FRANK RICH: “COMUNQUE ANDRANNO LE ELEZIONI, IL “TEA PARTY” HA GIÀ PRESO IL CONTROLLO DEL PARTITO REPUBBLICANO - SE VINCE L’ISOLATO ROMNEY, FARÀ QUELLO CHE GLI DIRA’ L’ALA ANTI-TASSE, ANTI-STATO, ANTI-SPESA PUBBLICA - I CANDIDATI NON LO NOMINANO PIÙ, MA LE IDEE DEL TEA PARTY SONO ORMAI LE STESSE DEL GOP”…

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Frank Rich per "The New York Magazine"
Traduzione di Marion Sarah Tuggey per "Il Foglio"

Frank Rich, già editorialista di politica e cultura del "New York Times" dal 1994 al 2011. L'articolo è pubblicato sullo speciale elettorale 2012 del "New York Magazine".

Se la campagna 2012 fosse un film di Hitchcock, Mitt Romney sarebbe il MacGuffin - un espediente che fa fare alla trama un po' di giri, ma che è di per sé privo di importanza. In realtà, potrebbe esserlo anche Obama. La gara presidenziale, tesa fino all'ultimo, è soltanto una scossetta narrativa nello scenario che ha acquistato sempre più importanza per tutta la presidenza di Obama: il risorgere della destra americana, la forza politica più determinata e coerente in America.

Non importa chi sarà eletto presidente, quello che Romney chiama conservatorismo rigido continuerà a rafforzare la sua stretta su uno dei due partiti più grandi. E quel partito difficilmente è destinato a cadere nell'oblio. Bisogna sottolineare come il Partito repubblicano, dopo l'iniezione dei Tea Party, abbia una seria possibilità di vittoria nelle future elezioni nazionali, nonostante la convinzione liberal diffusa (che io stesso condividevo) che qualsiasi partito che fosse bianco, vecchio e maschile come quello dei repubblicani fosse destinato alla quasi estinzione o alla fine totale con l'arrivo dei cambiamenti demografici dell'America del Dodicesimo secolo. Ma il Tea Party non è già una notizia per il giornale di ieri, e non si affievolisce nelle nebbie della storia assieme al suo sosia di sinistra, Occupy Wall Street?

Così sembrerebbe. Ottiene regolarmente risultati bassi ai sondaggi, e ha un misero 25 per cento di approvazione in un sondaggio di settembre del Wall Street Journal - Nbc News. L'araldo del Tea Party del 2008, Sarah Palin, e i provocatori che hanno dominato il processo delle primarie del 2012, guidati dal leader del Tea Party caucus al congresso Michele Bachmann, sono stati sconfitti e hanno perso qualsiasi potere a livello politico nazionale, assieme a gran parte della loro visibilità (persino su Fox News). Il nome pare così tossico che nessuno dei 51 speaker del prime time alla convention repubblicana di Tampa ha osato pronunciarlo, inclusi idoli del Tea Party quali Rand Paul e Ted Cruz.

Scott Brown, che era un eroe del Tea Party fin dalla prima ora per aver inaspettatamente vinto nel 2010 il seggio al Senato che era di Ted Kennedy, da allora ha solo velatamente alluso alla sua affiliazione. Tutto questo in realtà è fuorviante. Come ha scritto durante la convention repubblicana il conservatore Doug Mataconis, commentatore di Outside the Beltway, il fatto che i leader repubblicani non nominino più il Tea Party non vuol dire nulla. "In realtà, mi pare ovvio che il Partito repubblicano del 2012 sia a questo punto il Tea Party", scrive. "Bisogna guardare alla base del partito e ascoltare quello che gli speaker stanno dicendo per riconoscere questa realtà".

Secondo lui il Tea Party "aumenterà probabilmente la sua influenza dopo le elezioni di novembre, indipendentemente da cosa accadrà al ticket Romney/Ryan - e ha ragione. Anche se è stato necessario rimuovere l'etichetta, (...) la sua ideologia è l'ideologia di destra del 2012. I suoi sostenitori non torneranno sui loro passi né spariranno, anche se Obama si riorganizzasse e ottenesse la vittoria di quello sbilenco collegio elettorale che sembrava essere nelle sue mani prima del primo dibattito. Quantomeno, la destra sarà incoraggiata a epurare il Partito repubblicano dalla piccola e ideologicamente deviante claque di Romney.

La storia insegna che i liberal americani hanno sottostimato per lungo tempo la diffusione e la resistenza della destra, accantonandola ripetutamente come frangia lunatica e decretandone la morte, solo per vederla risorgere sempre più forte dopo ogni battuta d'arresto. Questo modello è stato ben identificato in un saggio di notevole influenza: "Il problema del conservatorismo americano", pubblicato dallo storico Alan Brinkley nel 1994.

Brinkley lo scrisse due anni dopo che la destra religiosa guidata da Pat Robertson aveva sconvolto i liberal prendendo il controllo della convention repubblicana dalle mani del patrizio frequentatore del country-club George W. Bush - la stessa destra fondamentalista che si era apparentemente ritirata dalla politica dopo l'umiliante processo Scopes negli anni Venti.

Lo scontro fra culture tenutosi alla convention di Houston non è stato solo il più recente esempio di liberal che cadono nell'imboscata di un'ondata conservatrice. Mentre gli ultimi bagliori del New Deal davano il via al boom postbellico, l'eminente critico letterario Lionel Trilling dichiarava, nel 1950, che "il liberalismo non è solo dominante, è soprattutto l'unica tradizione intellettuale" in America.

E per un periodo una serie di sconfitte dei conservatori dettero ragione a Trilling: il bid fallito del senatore Robert Taft ("Mr. Conservative") per la nomination repubblicana alla presidenza nel 1952, la censura di Joe McCarthy nel 1954, la colossale sconfitta di Barry Goldwater una decina d'anni più tardi. Durante quella débâcle repubblicana, Richard Hofdi Stadter, lo storico che avrebbe meravigliosamente caratterizzato la destra come l'incarnazione dello "stile paranoide della politica americana", scrisse nella New York Review of Books che Goldwater rappresentava il "punto di vista di una minoranza davvero speciale che non è neppure preponderante all'interno del suo stesso partito".

Aggiungeva anche che "quando, in tutta la nostra storia, qualcuno ha mai avuto idee tanto bizzarre, arcaiche, auto-contraddittorie, remote dalle basi del consenso americano, quando mai qualcuno si è spinto tanto in là?" Ed ecco che Ronald Reagan, il sostenitore più entusiasta ed eloquente di Goldwater, viene eletto governatore della California appena due anni dopo. Le idee di Goldwater - bizzarre e differenti - avrebbero però cambiato la traiettoria della nazione, come riconosciuto anche da Barack Obama nella sua lode all'eredità reaganiana del 2008, con somma costernazione di alcuni democratici.

Ma non importa quante volte lo spauracchio conservatore ritorni dal mondo dei morti, i liberal sono sconvolti ogni volta che ciò accade. Per l'ascesa di Reagan, per l'arrivo dell' "originalismo" di Scalia-Thomas alla Corte suprema, per la rivoluzione di Gingrich del 1994: rimaniamo sempre interdetti. Tale è il potere della negazione che semplicemente ci rifiutiamo di ammettere che, secondo il canone dell'intrattabilità, come minimo, i conservatori sono gli scarafaggi del corpo politico americano, destinati a sopravvivere a noi tutti.

E quindi, dopo la vittoria di Obama del 2008, il sondaggista democratico Stan Greenberg parlò a nome di tutti i sentimentali trionfalisti liberal ovunque nel mondo quando disse che l'America ora è "in un periodo progressivo" e che "il movimento conservatore portato avanti dalla rivoluzione di Gingrich è stato massacrato". Quel periodo progressivo è durato per ben un anno, dando spazio alle vittorie governative dei conservatori Bob McDonnell (nello stato swing della Virginia) e di Chris Christie (nel democratico New Jersey), così come alle turbolente proteste contro l'Obamacare.

Pochi democratici avevano immaginato che il nuovo presidente afroamericano sarebbe stato accerchiato in così breve tempo da un movimento popolare conservatore i cui sostenitori si vestono con costumi del 1776 e venerano l'invasato Glenn Beck.

O che tale movimento avrebbe portato a una tale disfatta democratica alle elezioni di midterm. Se Romney guidasse una nuova disfatta dei democratici quest'anno, qualche liberale potrebbe trarre un briciolo di conforto nel vederlo come il minore di due mali: The man from Bain non è radicale, ma è un prodotto dell'establishment conservatore repubblicano tradizionale finanziato da Wall Street.

Ci stanno già rivendendo la storia le eminenze "centriste" repubblicane nei talk show della domenica e nelle pagine degli editoriali mainstream, che ripetono continuamente che Romney fa solo finta di essere un ideologo tutto d'un pezzo, per placare temporaneamente l'indisciplinata base, e che il "vero" Romney è il pragmatico di centrodestra che si è improvvisamente materializzato dal nulla al primo dibattito. Se Romney perdesse in novembre, uno scenario liberal molto più felice potrebbe divertirsi: perché, date tutte le loro preoccupazioni sulle spese per lo stimulus e per Obamacare, forse i votanti preferiscono ancora il partito con un modesto attivismo governativo al partito privo di decisionismo.

I sondaggi danno supporto a quest'idea. Nell'ultimo sondaggio Pew, i repubblicani nel loro insieme sono tanto impopolari quanto il Tea Party: solo il 27 per cento degli americani si descrive come repubblicano (opposto al 31 per cento democratico e al 36 per cento indipendente). Si potrebbero scrivere già ora i coccodrilli per la destra che apparirebbero dopo la sconfitta di Romney. Persino i milioni spesi dagli sugar daddy di Karl Rove nell'era post Citizens United non sono riusciti a vendere l'idea di un Partito repubblicano di estrema destra ai votanti americani.

Di nuovo, la Repubblica è stata salvata dalla follia del buon vecchio buonsenso centrista bipartisan. Ok, continuate a sognare. Da dove viene questa gente? Mi ha chiesto un amico liberal a Los Angeles quest'estate, mentre ricordavamo personaggi indimenticabili, da Bachmann a Mr. "9-9-9", presenti lungo tutta la stagione delle primarie repubblicane, che hanno attirato folle inimmaginabili di supporter.

Come ha scritto Brinkley nel 1994, è una tipica supposizione liberal il pensare che le truppe di prima linea della destra siano invariabilmente "gente povera, provinciali" o una "frangia isolata, rurale" o anche "persone anomiche, senza radici, in cerca di stabilità personale", piuttosto che gli appartenenti ai sobborghi perfettamente convenzionali della middle e upper-middle class che spesso sono.

Non vogliamo credere che si nascondano in piena vista, nei nostri quartieri e nei nostri uffici. Questo era vero all'alba del movimento conservatore nei primi anni Sessanta, quando i tipici organizzatori a livello popolare della John Birch Society e la squadra Goldwater non erano necessariamente degli ignorantoni dalla campagna sperduta, ma "casalinghe, medici, dentisti, ingegneri e ministri" dalla Orange County, nel racconto della storica Lisa McGirr, il cui studio "Guerrieri Suburbani" ha sfidato gli stereotipi di lunga data sulla destra americana.

I conservatori religiosi e culturali, ed i veementi anticomunisti vennero raggiunti dagli occidentali fieramente indipendenti, quali Goldwater dall'Arizona, hanno apparentemente disprezzato qualsiasi incursione orientale, tranne quella di Washington, nel nirvana della frontiera precedente. Rompendo con leader moderati del partito quali Nelson Rockefeller e George Romney, ed opponendosi al Civil Rights Act del 1964, Goldwater ha istantaneamente annesso la vecchia Confederazione alla sua crociata occidentale; nessuna regione odiava il governo più degli stati che resistevano attivamente all'applicazione federale della desegregazione razziale. (In novembre, gli unici voti elettorali che ottenne vennero dal profondo sud e dall'Arizona.)

All'epoca i giornalisti non sogghignavano solo per i razzisti che si radunavano attorno al ticket ma anche alle "gentili vecchiette in scarpe da tennis" ed agli eccentrici fanatici che si accalcavano attorno a personaggi bislacchi quali Robert Welch, il leader della Birch Society che metteva in dubbio il patriottismo di Dwight Eisenhower e Earl Warren. Le groupie di Goldwater erano spesso viste come persone instabili, in modo non diverso dalle folli tea party infatuate di Beck mezzo secolo più tardi.

Una volta che le Goldwaterity si instradarono verso l'Election Day, virtualmente ogni commentatore dell'Establishment diede per scontato che sarebbero semplicemente spariti per sempre. Una rara eccezione è rappresentata da un ripensamento che ha del preveggente di "In qualche modo funziona", un libro patinato di Nbc News che riassume la campagna del 1964. Nel paragrafo finale del suo epilogo, l'anchorman Chet Huntley pone una "domanda senza risposta" riguardante quelli che avevano votato per il ticket repubblicano. "Ma ci sono ancora ventisei milioni di voti che in qualche modo non si tengono in considerazione", scrive.

"Non sappiamo come erano divisi fra repubblicani classici, segregazionisti, ‘Johnson-fobici', conservatori disperati, e pazzi radicali. Complessivamente, comunque, non il movimento di protesta americano - la coalizione del malcontento". La coalizione, tranne forse un paio di componenti, crescerà, non si assottiglierà, nelle decadi a venire. Se la campagna di Goldwater è spesso ricordata al giorno d'oggi per la sfuriata nucleare impulsiva (ed auto immolatoria) del candidato, la sua ideologia domestica, e non la sua bellicosità da Guerra fredda, non è affatto passata di moda. Il suo fanatismo sfrontato antigovernativo ha cessato molto tempo fa di essere un "estremismo" ed è divenuto lo standard repubblicano.

Anzi, molto di quello che Goldwater ha detto nel 1964 è stato riciclato da praticamente tutti i principali politici repubblicani nel 2012, Romney incluso. I presentatori radio conservatori dell'epoca, ora dimenticati, suonano incredibilmente contemporanei anch'essi. Un tipico sostenitore delle telecomunicazioni, Dan Smoot, ha rimproverato Goldwater per non aver fatto alcuno sforzo per placare moderati e liberal - per timore di "raffreddare l'ardore dei suoi veri sostenitori". Smoot era convinto, così come Goldwater, che una maggioranza americana nascosta voterebbe la destra se le fosse offerta una "scelta netta" fra "il conservatorismo costituzionale" e "il liberalismo totalitario".

La destra non ha mai smesso di credere che la sua vendetta arriverà se ai suoi votanti verrà data quella scelta definita. All'inizio della stagione delle primarie del 2012, circa il 75 per cento dell'elettorato repubblicano giudicava Romney troppo ideologicamente fumoso per poter offrire tale scelta. Grazie alle spettacolari autocombustioni dei suoi avversari, Romney ha comunque vinto la nomination ma, seguendo Bob Dole e John McCain, è alla fine della linea genealogica data dai residui rinsecchiti del partito moderato del padre.

La base finanziaria repubblicana, alla fin fine, così come la sua base votante, ha completato la sua virata a destra; David e Charles Koch, sono comunque figli di Fred Koch, che faceva parte del consiglio della Birch Society di Robert Welch. Se Mitt cadesse, i miliardari ne piangerebbero la scomparsa per ben 24 ore prima di raccogliersi attorno ai puri "conservatori costituzionali" della nuova generazione, come l'accolita di Ayn Rand, Paul Ryan.

E se Romney vincesse? Come l'altro utilissimo front man anodino John Boehner, farà più spesso di quanto si creda quello che gli viene detto dalle giovani pistole radicali. Il suo ruolo principale, come ha detto Grover Norquist a Febbraio, sarà quello di "firmare una legislazione che è già stata preparata", partendo dal severo budget di Ryan. A quel punto, un'altra certezza liberal offrirà un po' di conforto agli sconfitti: il pubblico americano si solleverà per la repulsione di un governo draconiano che cerca di limitare il suo New Deal ed i sussidi della Great Society, restituendo il potere ai democratici.

Questo è possibile, ma vale comunque la pena chiedersi se quest'idea ancora tutta da dimostrare possa portare solo delusioni viste le premature campane a morto già suonate numerose volte per la destra americana. Come antipasto, direi di dare un'altra occhiata ai recenti sondaggi, incluso quello che indicava favoriti Obama e i democratici per il primo dibattito. I repubblicani possono essere un partito piccolo, maschile e prevalentemente bianco, ma Romney ha comunque attratto il 48 per cento dei voti nonostante fosse il candidato presidenziale più impopolare di entrambi gli schieramenti nella storia dei sondaggi moderni.

E mentre i sondaggi davano Obama avanti, o forse alla pari di Romney in qualsiasi categoria, l'ideologia conservatrice ha fatto molto meglio in realtà. A fine settembre una ricerca di Quinnipiac University-New York Times- Cbs News sugli stati swing di Ohio, Florida, e Pennsylvania mostrava che l'idea del "governo che fa troppe cose" batteva senza fatica quella del "governo che può fare di meglio".

La ricerca sugli American Values di Pew di giugno è persino più netta nel dipingere un'alienazione intrinseca da un governo che è stato completamente bloccato dal passaggio del secolo. La maggioranza degli americani, con un margine che si avvicina o eccede il rapporto due a uno, crede che le regole governative del business "fanno più danni che bene" che il governo federale dovrebbe gestire solo cose "che non possono essere gestite a livello locale" e che il "governo federale controlla troppe cose nella nostra vita".

In modo interessante, ciò ricorda in modo incredibile quello che si pensava al tempo di Goldwater nel 1964. L'enorme voto popolare di LBJ pari al 61 per cento era corrisposto al 60 per cento degli americani che dicevano ai sondaggisti che erano profondamente preoccupati dalla crescita del burocratico governo federale. Ora come allora, più votanti si identificano come democratici che come repubblicani, ma la sfiducia su Washington trascende etichette e confini di partito.

Per la sua adattabilità, è altamente improbabile che il Partito repubblicano possa ricatturare i votanti afroamericani che ha allontanato quando da partito di Lincoln è divenuto l'ultimo rifugio dei Dixiecrat che inneggiano alla supremazia bianca come Strom Thurmond nell'era Goldwater. Tutti questi anni dopo Jim Crow, il partito repubblicano sta ancora cercando di privare del diritto di voto i votanti di colore. Ma è immaginabile che un futuro candidato repubblicano, non come il codardo Romney, possa scegliere una lotta con Sister Souljah quando un cafone come Rush Limbaugh definisce le donne come prostitute.

Anche quest'anno un po' di eminenti repubblicani - cercando di autopreservarsi cinicamente nell'anno delle elezioni - hanno ripudiato Todd Akin e lo "stupro legittimo" (o l'hanno fatto finché il circo non si è spostato da un'altra parte e loro sono potuti comodamente ritornare alle loro posizioni). Alla fine, il Gop potrebbe persino capire che non è nei suoi interessi né politici né ideologici insistere all'infinito sul fatto che il governo intervenga nei diritti riproduttivi delle donne o contrastare i diritti civili (maritali e di altro tipo) per i gay. (Barry Goldwater, ad esempio, lo sapeva).

Tale cambiamento potrebbe tentare giovani votanti ultraliberali, che si preoccupano poco delle trump card dei sussidi democratici per la Sicurezza Sociale e per Medicare, per dare una seconda opportunità ai repubblicani. I latini, la minoranza che cresce più velocemente in America, sono l'ostacolo più ovvio al futuro politico della destra.

L'abbraccio di Romney all'arsenale dell'antiimmigrazione più estrema, dal giurare il veto per il Dream Act al dare endorsement alla palizzata sul confine messicano, ha assicurato ad Obama la vittoria del voto dei latini in modo schiacciante - e forse anche le elezioni con esso. E ancora i repubblicani potrebbero superare questa barriera sul lungo periodo.

Non più tardi del 2004 George W. Bush attirò circa il 40 per cento del voto latino cercando (senza successo) di portare il suo partito verso politiche più tenere verso l'immigrazione. Una nuova generazione di candidati repubblicani alle presidenziali che vogliono vincere - e non parliamo solo di Marco Rubio - metteranno in cima alla lista delle priorità il cercare di salvare il partito dalla sua apocalisse democratica, che si avvicina a grandi passi.

Tale ritorno non sarà facile, né rapido, o senza un'epurazione dei nativisti fra i ranghi conservatori. Ma se la storia ci ha insegnato qualcosa nel corso dello scorso mezzo secolo, è che l'augurio di morte alla destra americana è un parto dell'immaginazione liberal. Per i supporter di Obama, persino una vittoria nel 2012 potrebbe rivelarsi solo un apice temporaneo.

 

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